martedì 26 novembre 2013

Un po' di moda non guasta!


Biondo-maschietto in una fotografia di Roberto Pagliara

Sabato 23 e domenica 24 novembre si è tenuta l'undicesima edizione del Lecce Fashion Weekend; l'evento torna due volte l'anno a cura di Elisabetta Bedori di Alta Voce, agency e fashion magazine. A condurre la serata la giornalista Cinzia Malvini, suo il programma cult M.O.D.A. su La7.
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È la mia terza volta da spettatore e, ogni volta, è stato come un viaggio nelle cose del far moda in Puglia e nel nostro Salento. Un far moda alla ricerca di mercato e di futuro. In scena, virtuose atelier più o meno piccole, più o meno affermate ma tutte motivate da una grande passione e dedizione al mestiere.
Ciò che manca al "sistema moda" pugliese è il potenziamento dell'indotto: uno scouting più motivato ed efficace nel definire orizzonti, un potenziamento degli ambiti formativi e un più fattivo coinvolgimento delle scuole di moda e di costume, la creazione di agenzie capaci di finalizzare e promuovere il fare creativo. Una maggiore chiarezza politica, soprattutto, nel dare destino a ciò che, a parole, viene magnificato sempre e solo – quando serve - con frasi di circostanza. C'è insomma tanto da fare, l'appuntamento leccese con la sua puntualità tiene desta l'attenzione...
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Un viaggio, un partire dicevo: quest'anno il LFW è stato ospitato in qualla che un tempo era, presso la Stazione di Lecce, l'Officina della Squadra Rialzo, oggi luogo del Museo Ferroviario di Puglia.
Scegliere i luoghi sembra essere una prerogativa del fashion weekend leccese, le ambientazioni costruiscono il necessario sottotesto, utile alla lettura delle collezioni, traccia di un filo che, accogliendo il pubblico lo accompagna sollecitandolo alla piena presenza.
In passato m'ero accorto della galleria trasparente all'ombra della colonna di Sant'Oronzo o anche, avevo notato, la ricostruzione, sempre in quella Piazza, di una stazione ferroviaria. Ma chi usa leggere le mie cose sa che il “Salotto” lo lascerei libero dagli eventi essendo esso, già in se stesso, un evento, ma questo è divagare. Intrigante è stata, nell’ottobre del 2012, la scelta di un magazino di elettrodomestici – quello dello show room di Lato - nella zona industriale di Corigliano d'Otranto o anche la scelta di via Rubichi a Lecce nel 2013, ai piedi del Municipio, per ospitare la passerella come a sottolineare la necessità di uno stretto rapporto tra chi "cuce" eventi e chi dovrebbe garantire l'agibilità logistica ed economica...
Ma, anche questo, è divagare.
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Tra gli spettacoli, quello della moda è "teoricamente" il più semplice. Basta disegnare la passerella e tutto in lungo si sistema il pubblico. Un set di luci, qualche piccola macchineria teatrale ed è fatta.
Una camminata è quello a cui sono allenate le "attrici" dell'atto, le modelle che sguardo dritto, mirato in avanti, tagliano l'aria.
Le prime che appaiono, nel prologo della serata, – la mia cronachetta riguarda la sfilata di domenica 24 – sono "sonnambule". Sguardi trasognati e capelli voluminosi - la spazzola per il "crespo" è dell'hair stylist Roberta Apos - in bianco, con pigiami e baby doll, fanno traffico di valige. Su e giù lungo l'antico vagone che fa da sfondo alla passerella, le trasportano da un vecchio carrello portabagagli fino in fondo, per scomparire inghiottite dal convoglio.
Il fischio di partenza da inizio alla serata. Ancora una performance, quattro maschi in vestaglietta fanno cornice, una Mina spagnola canta "Un anno d'amore", alti tacchi a spillo reggono un'abito rosso. Michele Gaudiomonte lo racconta: è in organza con nappine di seta applicate una ad una sulla superfice e le mani artigiane le vedi all'opera, nella cura attenta del particolare, nel far finitura alla bellezza, come fa Almodovar – a lui è dedicato il quadro - quando "cuce" i suoi film.
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Annarosa Cardignan apre la sequenza dei defilè. Disegno minimalista, dal nero si passa al grigio. L'andatura delle modelle è tutta tenuta negli sbiechi dei tagli, nei colli larghi che sfiorano le spalle, nelle cadute aperte del panno, e poi i colori: prugna, rosa antico e un caldo verde. Signorine eleganti, ma molto eleganti, la più elegante è biondo-maschietto...
È un mistero la trance della modella, passo avanti e spalle indietro, ma proprio indietro, paiono cadere alcune, danno la vertigine... Non t'accorgi dove guardano. Impossibile saperlo il perdimento loro, il segreto del pensiero è tutto tenuto in impeccabili cappottini.

Poi Gino Longo, da Cursi. Imbastisce tradizione e futuro. Un capospalla grigio con risvolto viola, un cappottone leopardato, una sciarpa-vestito in total nero, biondo-maschietto porta un abito azzurro argento. Segue il rosso, plissetato e fasciato. E poi, abiti lunghi, il più attraente trasla lucentezze di grigio su un largo cappuccio, sospeso, tenuto in gola da un fiocco... Ecco le spose: grigio-argento, bianco avorio, bianco bianco... Il make-up è di Fabiana Sacquegna, labbra rosse e occhi luminosi mischiano una misteriosa felicità al rimmel.
Viene adesso il puro creativo: cinque abiti della Scuola di Moda Rosanna Calcagnile. "Surreali" dice qualcuno, incantato, alle mie spalle. Grandi gioielli di ceramica sghembano su tagli che ricordano le improvvisazioni del jazz: stanno su moltiplicando la linea ritmica. Assoli di materiali si combinano nell'azzardo di colori: il giallo, il verde, il rosso nella prova dell'armonia, mai scontata se è lo sguardo ad essere sollecitato, provocato, svegliato dalla consuetudine. La ricerca è concetto e valore, ecco allora una cappa in vichy, un grande colletto, tessuti da tappezzeria cuciti al rovescio, cimose e cuciture a vista, orli sfilacciati, volumi applicati e larghi plissè: vestono e tagliano arte sulle figure in movimento. Il giusto prologo a ciò che segue: Dolores Mauro ispira ad "Alice" i suoi capi cuciti con la sapienza di una sartorialità impeccabile nel combinare l’astrazione decorativa del voile con la geometria del tartan, il particolare disegno dei tessuti in lana delle Highland scozzesi. Il sogno irrompe portato dal rosso. Un grande cuore tridimensionale taglia il bianco e nero della scollatura. Sfilano variazioni di temi decorativi, l'abito lungo porta l'oro e la manica in giù a metà braccio.
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Di fianco ho mariti che fremono, seduti in tribuna, desiderosi di pizza fanno fretta alle mogli messe in giù, più comode sulla prima linea di sedie. Spero loro non cedano alla lusinga. Non cedono e si distraggono guardando un filmato sull'i.phone.
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In passerella è annunciata Maria Ancona presenza costante del fashion weekend, una collezione  total-black, i diversi toni e le lucentezze sono affidate alle variazioni dei materiali. Uno splendido capospalla, fa semplice la seduzione. Una giacchina su una camicia di pizzo. Lucido e opaco: un vestito disegna "spiando" trasparenze. E un cappotino poi... un bellissimo abito da sera con guanti e collo di pelo...
È incolpevole la mannequin. Colpevole è l'abito. Biondo-maschietto sembra l'unica a saperlo, nel lungo della gamba mostrata racconta la possibile complicità, il legame, con l'abito portato. Potrebbe essere sua cosa, sua scelta.
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I mariti cedono, prendono la via di fuga e, seguiti dalle mogli, spariscono alla volta della desiderata Napoli "con capperi e acciughe abbondanti...".
Malvini annuncia il debutto: Francesco Cecchini si ispira al radical-chic degli anni Settanta e, quella innocua trasgressione, la declina con boule per l'acqua calda portate come borse e povere coperte, quelle pesanti da caserma o da ospedale, si trasformano in mantelline, in giacchine, in comodi copri abito. Biondo-maschietto viene avanti con leggero mantello, ovali bislunghi segnano in ocra variazioni di grigio. "Il vero chic è uscire dagli schemi riguardando nel proprio armadio, re-interpretandolo nel bisogno del quotidiano" ammonisce il creatore nel suo commento alla collezione appena mostrata. Il giusto annuncio a ciò che verrà dopo. Il caldo del "pesante panno" si trasforma adesso in morbido cachemire quello che a Le Costantine si tesse sugli antichi telai della Fondazione di Casamassella. Un canto di donne annuncia il gruppo delle modelle: vengono insieme, si fermano, ognuna con movimento in tondo dà volume all'abito. Toni caldi, righe orizzontali mischiano rombi e spinature. Sapienza di donne talentuose che sanno  far moda inventando ogni giorno il dettato del tempo, le sue volubilità e i suoi desiderata.
Il ritorno repentino al presente più trasgressivo segna la chiusura della serata, in passerella i  leggings stampati di Cristèl e Romina jr. Carrisi. Audio cassette, bobbine di vecchi VHS, un Carpe diem scritto su una magliettina, la S di Superman, il fuoco poi, proprio il fuoco fanno da motivo decorativo. Biondo-maschietto mostra le grazie e un pop psichedelico fa festa e saluta il pubblico.
Alla prossima, al prossimo viaggio, la location è segreta, speriamo ci stupisca!
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In chiusura, permettetemi di divagare...
Ciò che ci saremmo evitato è l'insopportabile passerella dei politici, il loro pavoneggiarsi è l'opposto del guardar dritto. Loro, attenti, di sottecchi, amano controllare la devozione degli astanti, la misurano, vanitosi, quando siedono al "meglio posto"... Ci son poi quelli che presi da impeto tabagista lasciano la sedia e ostentando il pacchetto alla platea, senza farlo chiedono venia e s'allontanano traversando, spalle chine, la sacra linea...

giovedì 21 novembre 2013

Rina Durante, la raccontatrice

Edoardo Sanguineti con Rina Durante a Roca
É stata come una festa! Alcuni, annunciati, non c'erano. Accade sempre così, specie qui, dove siamo abituati a far le bizze quando siamo invitati e, i distinguo, fanno ombra alla levatura e all'autonomia espressiva dei Nostri: i poeti, gli scrittori, gli intellettuali che hanno dato vita e parole al divenire culturale di questa strana terra che trovano, nell'indifferenza e nella supponenza degli altri, la loro vera fine.
Ma torniamo alla festa, al convegno che lunedì 18 e martedì 19 novembre la Città di Melendugno, l'Università del Salento e il Cuis - con tre ricche sessioni di lavoro ed un recital di chiusura tenutosi al Cinema Elio di Calimera - hanno voluto dedicare a Rina Durante. "Il mestiere del narrare" il titolo, sul manifesto l'immagine di Maria Bellonci (l’ideatrice del Premio Strega) che bacia una giovanissima Durante in occasione della consegna, alla scrittrice, del Premio Salento nel 1965. Altri tempi e soprattutto altri eventi e altri premi.
Lei, la Rina, si definiva una raccontatrice. Persona capace di sguardo, di accoglimento. Antropologa per “necessità”, cercatrice di storie per meglio restituire l'immagine di una terra desiderosa di riscatto. Figura creativa, larga nel suo operare, capace di profondità e di leggerezza. L'ironia, lo strumento con cui viveva e mediava il suo rapporto con il Mondo e con gli altri: il disincanto, per meglio scavare - spogliare - la Vita e raccontarla, per fare che la piccola storia diventasse Storia. La Cultura come scelta di campo, una scelta politica per dare lingua e soggettività critica alle persone, ai miseri, agli affamati del "salentino, una delle terre più lontane d'Italia: non tanto per distanza dai centri d'irradiazione storica, quanto per una sorta d'indipendenza della sua gente, del modo di essere e di pensare" così è scritto nell’aletta di copertinanell’edizione del 1964 de “La Malapianta” uscita da Rizzoli.
La letteratura, la musica, il teatro, il cinema, per allenare gli occhi e dare luogo alla commozione che dallo sguardo sorgeva a far guida. Provate ad immaginarlo il nostro Salento negli anni Cinquanta. Leggetelo, andatelo a cercare, provate a sentire Teta, sua moglie, i loro tanti figli ne "La Malapianta". Provate a chiedervi i perchè della Tragedia di Roca atto corale di una comunità che nel teatro trovava l’opportunita di riconoscersi, del farsi prete del Tramontana...
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La letteratura (l’arte) ha un tempo? Una scadenza? Deve essere (per essere) trendy? Sì, se ci attenimo ad una superficiale analisi storica, legata ai flussi del consumo e al gusto mainstream e non alla particolarità della vicenda di un artista, del territorio in cui vive, delle urgenze e delle difficoltà che lo muovono. Di questo bisogna tener conto, come anche, dello sguardo trasversale che dalla Provincia mira alle cose della Cultura e del tempo lungo dei testi, della scrittura che rimane, sopravvive alle contingenze e muove sconfiggendo il tempo.
L'opera di Rina resiste, esiste e va riletta, divulgata per meglio comprendere e porre argine alla deriva che coglie questo Salento dimentico di se stesso, tradito, oltraggiato, (forse) irrimediabilmente consumato.
Molti i testi analizzati nel corso della due giorni tra il Nuovo Cinema Paradiso di Melendugno e la sala conferenze del Rettorato: "La Malapianta", che presto troverà nuova edizione, "Tutto il teatro a Malandrino" ancora nel catalogo di Bulzoni, gli "Amorosi sensi" che speriamo Manni possa ripubblicare, i testi poetici degli esordi letterari con il Critone di Vittorio Pagano, i racconti sparsi e la ricca produzione giornalistica. Segni di una vera e propria militanza iniziata alla fine degli anni Cinquanta ma già incubata nelle visioni infantili sull'Isola di Saseno che abbiamo visto nel film-documento realizzato quest’anno da Caterina Gerardi.
Abbiamo scoperto – nella puntuale analisi testuale offerta da Lucio A. Giannone de "La Malapianta", una Durante "esistenzialista" nel descrivere il mal d'animo dei poveri, che nella loro autocoscienza monologante danno voce alle inquietudini di quelle classi subalterne che il Tempo Moderno ha spazzato via con le grandi migrazioni e con l'assoggettamento alla telvisione.
Di queste trasformazioni Rina Durante ha scritto, la violenza di queste trasformazioni ha denunciato, senza mai proporre la fuga ma al contrario proponendo e rinnovando lo scavo del suo sguardo.
Per questa festa dobbiamo dire grazie – prima che ad altri - alla testardagine dello scomparso Vittorio Potì, e poi ad Annalisa Montinaro, a Massimo Melillo, a Luigi Santoro, ad Antonio Lucio Giannone e al suo gruppo di lavoro.
Adesso con il ritorno in libreria de "La Malapianta" per i tipi di Zane Editrice aspettiamo gli atti del convegno, importanti per poter divulgare la ricchezza delle analisi proposte.
Speriamo accada presto.