venerdì 1 febbraio 2019

Pensieri sul tempo che viviamo


Verrebbe di smettere di pensare, ma non è il caso. Avevamo sperato in una “gentilizzazione” della politica invece il machismo più bieco è emerso e impera. Lo stile della politica è quello “ultrà”, quello del tifo, squadra contro squadra: Italia vs Europa, Italia vs Francia, Italia sola contro l’intero Sud del Mondo, Italia contro tutti.
Il capitano e anche il damerino a 5 stelle sono dalla parte del popolo, non importa il colore del gilet, l’importante è sparare sui governanti, c’è sempre un nemico da evocare ieri la Merkel, Juncker, Moscovici, Macron, anche Papa Francesco è tra i nemici.
Il turco Erdogan no, Orban no, Putin no… loro son giusti, non fa nulla se qualche volta dimenticano d’essere democratici. Non serve, cos’è tutta ‘sta libertà, se ne può perdere un po’ se poi c’è il reddito di cittadinanza, quota cento e i porti chiusi. Evviva” i “poveri” che in cambio della paghetta son disposti a tutto… Anche a guerreggiare se sarà il caso… Le consuetudini del quotidiano lo raccontano e scopri quant’è radicata l’indifferenza e la cattiveria. Radici profonde, di semi a lungo covati che oggi mostrano tutta la loro potenzialità infestante.
Il risentimento, questo il sentire più diffuso con tutto il contorno di sinonimi e di coloriture possibili. Non si risparmia il rancore, l'animosità, l'astio; si arriva all'acredine, al livore più bieco, poche volte si coltiva un sano e costruttivo sdegno, quasi mai l'amarezza, troppo poetica e segno di fragilità, preferendo l'acida acrimonia. Che fatica! Fa male al fegato viver così; si diventa brutti lasciandosi pervadere dal ghigno dei duri, difficile coltivare relazioni, far buoni incontri scordando la pace della convivialità, difficile far politica, ancora più difficile far cultura. Non si cresce, s'arretra anzi, il pensiero si fa piccolo nel chiuso del risentimento, quello proprio e quello nazionale.
E allora, pensare è necessario, tentare di uscire dai canoni del consueto, del già detto.
Il Tempo che viviamo è un tempo manifestamente regressivo, non crede più al "progresso" o forse, l'idea di "progresso" che abbiamo sin qui alimentato s'è ammalata, guasta sin dal suo principio nella pretesa d'andare oltre l'uomo. Di non aver cura dell'umano, della necessità d'alimentarlo in crescita. I modelli culturali promossi segnano un silente fallimento, via via, minano il Tempo, la Vita, la Convivenza. Non siamo più abituati all'idea d'essere Mondo, d'essere dentro una coralità e che la coralità è necessaria per comprendere, ognuno di noi, la propria natura, la propria unicità, la propria bellezza. “Singolarità” e “Coralità” parole poco usate, sconfitte da “Individualità” e “Comunità” concetti usurati dalla Politica che li ripete all'infinito senza sostanziarli culturalmente e poeticamente. La Singolarità è la bellezza dell'uno che si accorda con l'altro per declinarsi nella Coralità lo strumento attraverso cui le Voci si educano allo stare insieme. Il Teatro ha per suo statuto l'idea che la qualità della vita dipenda dalla responsabilità e dalla consapevolezza che ognuno matura di se stesso.
Il disagio esistenziale (condizione comune oggi a tutto l'Umano) deve divenire leva di crescita attraverso un'azione che vede la Cultura muovere un energia profondamente sovversiva nel “minare” lo statuto della Contemporaneità. "La Bellezza non è tutto" se la Bellezza è solo vetrina, apparire, superficialità patinata. C'è da dare sostanza al Tempo, all'Attesa; di fermare lo sguardo, di sospendere il giudizio, di dare linfa nuova alla Vita. Una lavoro di lunga durata che ha necessità, ora più che mai, di un inizio.
Tempo fa, su Radio Tre, ho ascoltato una "lezione di musica" sul compositore ungherese Béla Bartòk, uno dei più appassionati - fu senz'altro un pioniere dell'etnomusicologia - nel declinare l'ascolto delle arie popolari della dell'Europa Orientale e del Medio Oriente nella musica "colta".
Il conduttore del programma sottolineava come, in ambito musicale (almeno in quell'epoca) fosse necessario, tra i grandi compositori, prestare orecchio al fare dell'altro. La musica poteva avere evoluzione solo se la ricerca personale poteva nutrirsi del lavoro degli altri. Uno componeva e con la sua opera comunicava all'altro: “senti dove sono arrivato, dove mi son spinto”, l'altro, confortato, nutriva la sua sensibilità, così si procedeva nel progredire comune. In un'altra lezione di musica si è parlato della "Sagra della Primavera" di Igor Stravinskij, il conduttore a sostegno della tesi del “reciproco ascolto” ha osato mandando un brano dell'opera di Stravinskij all'unisono con un altro di un compositore suo contemporaneo: l'ascolto è risultato perfetto, integrato, meraviglioso. Non poteva esserci risentimento in quel procedere creativo. Solo passione e condivisione della ricerca. Reciprocità! Lo sappiamo, la musica è cosa speciale, la coralità è insita nella disciplina, non potrebbe esserci musica senza reciprocità, senza accordo, senza capacità di ascolto e di relazione, nel rispetto dei tempi, nell'obbedienza allo spartito e alle indicazioni del direttore. Così come nel cinema, nel teatro ognuno è chiamato al suo compito, a far bene ciò che è chiamato a fare. Competenze in armonia, di questo avremo bisogno, anche nella politica, reciproco ascolto, capacità di compensazione e di composizione corale… Ma, lo so, è utopia!