domenica 29 marzo 2020

Necessità e utilità dei giorni dell’attesa



di Mauro Marino*

Quello che in questi giorni ci accade è tragicamente necessario e utile. Non è cinismo, è semplicemente constatare la realtà della prova che siamo chiamati ad affrontare. Dovevamo fermarci - questa la necessità e l’utilità - dovevamo farlo. Ci si è messa di traverso la fatalità di un evento, l’imprevisto del virus, a frenare la velleità e l’arroganza con cui abbiamo sin qui creduto di poterci confrontare con la Terra, con la Natura, con la loro potenza sovraumana. Qualcosa doveva accadere, i più sensibili lo sapevano, lo sentivano. Non poteva essere una guerra a frenarci, anche se, immancabili, sono i grugni e i grugniti di chi affronta le cose del Mondo con la rabbia, alimentando conflitti e paure, facendosi capo di “truppe” sempre più esacerbate e faziose; anche costoro, oggi, son costretti a riflettere. Non sempre ci riescono, presi come sono dalla parte da interpretare, ma appaiono fiacchi, a tratti esitanti; speriamo che, quest’esitare, li nutra rendendoli umani, al servizio dell’umano se il “servire” hanno scelto come compito politico, e siano capaci di trovare parole nuove, altre, nell’accogliere l’urgenza del momento, pacificate, lucide, essenziali, utili a elaborare il monito, per il futuro.
Quella che siamo chiamati ad affrontare è una prova di resistenza, una prova estrema nella sua crudeltà ma allo stesso tempo nella sua semplicità. Crudele perché miete vittime, a migliaia, i più deboli e i più valorosi; questa sì che è una guerra, le truppe chiamate ad affrontarla sono spesso disarmate, soldati - medici, infermieri, volontari della protezione civile - capaci e motivati dalla loro scelta di essere dono per l’altro, ma “disarmati” come “disarmati” erano i soldati mandati alla guerra con le scarpe di cartone.
Crudele perché smaschera l’inutilità di scelte che, soggiogate da un’economia scellerata, solo volta all’accumulazione, al “bene” finanziario, hanno tradito il mandato affidato dalle persone alla politica: il governare, che è aver cura della Casa Comune. Una casa grande, sempre più complessa e bisognosa, abitata da urgenze, da necessità, da desideri da accogliere avendo sempre bene in mente che l’ascolto è la chiave di ogni concertazione, di ogni scelta, nell’urgenza di dovere corrispondere a una coralità. L’interesse è uno, unico nella Comunità: lo star bene di tutti. La prosperità non è nulla se manca delle basi di sostegno alla vita, l’istruzione, la sanità, il benessere, l’accessibilità ai servizi e il funzionamento degli stessi, sono alla base di una società che vuole essere Comunità Solidale. Sapremo diventarlo?

Semplice, perché ci riporta all’essenziale. Questo stare in fila, in silenzio, provando la disciplina dell’attesa, deve insegnarci a guardare l’altro, a stare con l’altro, nel rispetto reciproco; anche la distanza è virtuosa quando serve a guardare la completezza, quando media la smania consumistica e usurante. Respirare l’aria che s’è fatta più pulita deve servire a capire che non è necessario sempre usare l’automobile per fare le cose, il non dover avere l’urgenza di apparire belli e imbellettati può essere utile a ritornare nella normalità dell’essere che non è “pochezza” ma sapere ciò che si è, come si è, per chi si è.
Riconsiderarsi, riconsiderarci, è il compito che questa sciagura ci affida. C’è tempo per riflettere, per maturare, speriamo sia efficace questo restare a casa, questo semplice “stare” al riparo, a difendere la vita, nella fortuna di non doverci ammalare; speriamo sia capace di sanare le nostre inquietudini, il nostro sfrenato individualismo, il nostro egocentrismo, la fretta del dover fare, la voracità del consumare, la smania del comunicare; sia freno, miracolo per poterci immaginare, domani, migliori.

#iorestoacasa

*La Gazzetta del Mezzogiorno 29 marzo 2020

lunedì 23 marzo 2020

Lecce, ex Agostiniani. Una biblioteca di tutti gestita da tutti


di Mauro Marino*

L’attuale crisi sanitaria e la prossima prevedibile crisi del sistema economico impone una riflessione sulla gestione futura dei Beni Comuni.
É di pochi giorni fa l’annuncio di un nuovo bando, promosso dall’Amministrazione Comunale di Lecce, per l’affidamento della gestione della biblioteca civica da realizzare nel complesso degli ex Agostiniani; il precedente avviso è andato deserto perché troppo oneroso per gli aspiranti conduttori. Questo secondo si annuncia calibrato “tenendo presente l’attuale contesto socio economico del territorio e la connotazione altamente sociale dell’intervento”. C’è da meditare. Lo so, sono un marziano, ma… non credo ai Bandi nella gestione del Bene Comune; l’interesse pubblico va tutelato - coordinato nella costruzione di processi realmente partecipativi - dalla pubblica amministrazione.
La recente cronaca ci insegna come una gara di gestione vinta si risolva con la chiusura del bene affidato e, chi ha avuto modo di dover fare attività culturale in quel “bel luogo”, ha potuto constatare quanto poco culturale si sia dimostrata - per stile, per linguaggio, per cortesia e spirito di collaborazione - quella conduzione, tant’è!, valga però come monito.
Quella da costruire nell’edificio satellite degli Agostiniani nasce nell’ambito del grande progetto regionale delle Community Library, con un finanziamento di 740 mila euro, dovrà dunque essere una Biblioteca di Comunità, parola importante quel “comunità” che, anche per quanto si è prefigurato nel percorso partecipativo che l’ha pensata e ideata, cozza con l’idea che a gestirla sia un privato.
Quella Biblioteca deve essere, a mio avviso, una vera e propria Biblioteca Comunale, un luogo della Pubblica Lettura, come si usa dire; un luogo aperto all’incontro, all’approfondimento, alla proposta, al relax intellettuale e ludico, alla formazione. Un luogo di tutti, e allora, perchè non costruirlo con il concorso e la cooperazione di coloro che, in città, sono attivi nel quotidiano lavoro culturale?
Non bisogna dimenticare che l’edificio satellite che ospiterà la Biblioteca è incluso in un complesso architettonico straordinario, interessato da numerose vicende storiche, una narrazione che merita di essere restituita alla città con tutta la sua complessità, lo si può fare solo attraverso una reale apertura di quello spazio in tutta la sua bellezza. Uno spazio da vitalizzare, da destinare all’attività e alle necessità culturali della città, cuore di un sistema, di una rete, che solo avendo un centro può pensare di irradiare la sua portata in tutta la città e per tutta la comunità. Le strategie d’uso degli spazi di proprietà comunale indicano come sede dell’Archivio Comunale la parte monumentale degli Agostiniani, perché sacrificarla per intero a questo compito? Certo, anche un archivio è luogo interessante, ma il rischio è che diventi un deposito di carte… Evitiamolo progettando semmai un archivio che respira insieme al presente con il carico delle tante necessità espressive che animano e attraversano (spesso segretamente e inascoltate) la nostra città.
Un esempio attivo, molto virtuoso, di rivitalizzazione di uno spazio culturale pubblico lo abbiamo: la Biblioteca Nicola Bernardini trasferitasi per intero negli spazi dell’ex Convitto Palmieri si mostra oggi nuova, così come nuovo è il Museo Sigismondo Castromediano. Andate a visitarli, vi appariranno trafficati e densi nel realizzare una proposta culturale di grande respiro, partecipata dalle necessità di una platea di operatori  sempre più fitta, motivata dal poter fare. Un fare che trova ascolto, ospitalità, coraggio. A regolare le realizzazioni un patto tra l’ente che gestisce e chi realizza. Ecco, ciò che penso potrebbe aver valore, riguardo alla nuova Biblioteca di Comunità, sia un bando rivolto alle proposte, ai contenuti, per realizzare le finalità da perseguire, l’apertura una stagione di ascolto (che certo non andrà deserta) per rilanciare i processi partecipativi che l’hanno generata e potenzialmente resa possibile.

*Associazione Culturale Fondo Verri
La Gazzetta del Mezzogiono, lunedì 23 marzo 2020

venerdì 13 marzo 2020

La città nella “fortuna” della pausa



di Mauro Marino

Pare nuova la città, altra, inedita, così come tutti i luoghi che hanno scelto la “fortuna” della quarantena, dell’#iorestoacasa. Fortuna sì, perché ben venga la pausa, questo fermarsi: sia grazia per il dopo, per ciò che verrà se quello che oggi viviamo sarà d’insegnamento per il futuro, di indirizzo sulle priorità dello stare a vivere, individuale e collettivo.
Poca gente in giro, a sera tutto deserto. Son tutti in casa! Un dono! La strada dove abito di solito è trafficata in arrivo da sud, ieri era silenziosa, naturale nel respiro della notte. Lecce non più meta serale di quanti la raggiugono per la sua movida, appare surreale e trasognata con il suo barocco. Le facciate delle chiese, le decorazioni dei balconi, tornano a esprimere il loro monito se guardi con attenzione, in questa possibile, ritrovata, capacità di soffermarsi sul senso, sul significato di quelle pietre così fittamente scritte: la fatica dell’uomo regge il mondo, questo racconta il barocco. La bellezza, l’abbondanza, la gloria vengono da quella fatica. L’abbiamo scordato, ognuno di noi l’ha dimenticato e questa sollecitazione alla responsabilità, nell’emergenza, ci riporta sorprendentemente in vita, alla concretezza, alla necessarietà.
Abbiamo miseramente dimenticato cos’è la vita, il suo trascorrere, presi dall’ubriacatura di un Tempo titolato all’egoismo, alla  consumazione delle cose, al profitto per il profitto, all’usura continua di tutto. Soffermarsi, stare nel letargo, pare esercizio complesso, difficile ritrovare il contatto con la semplicità della casa, con il governarla, pare noioso, insopportabile. No, deve essere un esercizio di virtù per noi inesplorate, un’avventura nuova. Ritroviamoci, ritroviamo il corpo in questo momento in cui siamo chiamati a difenderlo, a proteggerci. Reimpariamo l’attesa stando in fila, reimpariamo il rispetto nella distanza di un metro che ci separa dall’altro, c’è molto da apprendere nel fare ascolto della regola, c’è da ritrovare la completezza dell’umano, di una lingua capace di metabolizzare la rinuncia per farla nuovo sapere, nuova immaginazione, nuovo futuro. Un altro futuro, non quello a cui tristemente e in maniera suicida ci eravamo destinati.
Questo è un tempo per me di letture, i libri sono la compagnia che ho scelto, il silenzio del viaggiare tra le pagine. E cercando ho trovato: la nostra contemporaneità vive “il corpo come un accidente e non come un predicato incluso in noi” è il filosofo Miguel Benasayag a scriverlo in “Contro il niente – abc dell’impegno”. Ecco, ciò che dobbiamo, ritrovare in questa quarantena è la nostra propria individualità, la contingenza che ognuno di noi è chiamato a vivere, la particolarità che ci abita per ridonarla domani ad un noi più consapevole, più solidale, capace di capire ciò che è necessario, al riparo dalla violenza e dall’odio, nella speranza che questi giorni non siano stati vani.

La Gazzetta del Mezzogiorno, venerdì 13 marzo 2020