martedì 19 maggio 2020

Il Virus e lo Spazio


È notizia diffusa e condivisa che, gli allevamenti intensivi di animali abbiano storicamente inciso sulla nascita dei Corona Virus, le ipotesi che il modo in cui è prodotta la carne abbia contribuito alla comparsa del Covid-19 sono molto solide. E, allora, per prevenire o quantomeno rallentare, la nascita di nuove malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, occorre regolamentare meglio le filiere di produzione e i mercati, ma è, soprattutto necessario, riflettere su come viene prodotto, a livello globale, il cibo che mangiamo. Il Covid 19 è “maestro”, con il suo drammatico avvento ci offre l’occasione di analizzare il nostro stile di vita e di pretendere politiche che impongano, al settore agroindustriale, standard di sostenibilità ecologica, sociale ed epidemiologica più efficienti, immaginando e promuovendo pratiche più virtuose di produzione zootecnica e agricola nell’utilizzo del suolo garantendo la sua tutela e conservazione.
Il tema è quello della distanza, dello spazio tra gli animali quando vengono allevati, della cura nell’allevarli e nella garanzia della tracciabilità che li porta poi ad essere consumati. Ma, il tema della distanza, dello spazio, non riguarda solo loro, è materia che, a ben guardare –  ce ne siamo accorti in questo lungo periodo di quarantena con il “distanziamento sociale” - riguarda le persone, le cose, i luoghi che abitano. La città, l’intero Paese, il Mondo. Ci siamo resi conto che l’ammasso non serve, non è stato utile e lo sarà men che meno nel futuro. Dobbiamo, allora, complessivamente ripensarci. Non possiamo inseguire il passato, ciò che era acquisito se vogliamo immaginare un possibile futuro.
Per come si è pensato (e si continua a pensare) la città, il consumo, lo spettacolo anche noi siamo polli all’ammasso, tutto è progettato per creare quantità. La logica dei grandi eventi è il fondamento dell’ammasso della corsa ai grandi numeri, del guadagno a scapito della vivibilità e del benessere.
Oggi tutto è evento, tutto è affollamento, peggio, tutto è scontro - vetrina di vanità più o meno esplicitate - perché l’assenza di spazio aumenta l’aggressività. Da dove viene “l’antagonismo a prescindere” che caratterizza la nostra politica, alcuni show televisivi, molte relazioni sociali se non dalla necessità che ognuno ha di occupare spazio? Di chiederne di più perché il proprio ego narcisista soffoca, se non primeggia.  Il proteggersi l’uno con l’altro, mantenendo la “distanza di rispetto” è un valore che abbiamo in questi giorni scoperto e sperimentato. Manteniamolo, è un valore prezioso. Abbiamo visto la natura riprendersi degli spazi nei giorni del look down, che significa che liberando spazio lo abbiamo restituito a chi l’avevamo tolto. Siamo diventati ingombranti e avidi, dobbiamo rendercene conto e ritirarci, dobbiamo rendere la “rinuncia” il metro che misura la nuova vita. Tornare alla semplicità, lasciare spazio intorno a noi significa recuperare il respiro. Tornano le biciclette, le piste ciclabili, finalmente hanno la considerazione che meritano così come le isole pedonali che daranno nuovo spazio a quelli che da sempre le hanno osteggiate, torna la vita in strada. Piccole cose che indicano l’orientamento di una nuova dimensione di vita. Già lo sapevamo ma è stato necessario il dramma di questi mesi per renderle valore condiviso, necessario per disegnare un diverso utilizzo dell’enorme patrimonio che ogni giorno ci è consegnato dalla natura e dalla Storia.
Un grande ruolo in questo ha la Cultura nel suo compito di mediazione e di proposta. La rivoluzione, se rivoluzione ci deve essere, è culturale. È più che mai doveroso, tornare ad una prossimità mediata dallo stupore, dall’incantamento, ad una infantilità curiosa e desiderosa di apprendere, di condividere lo sguardo, la voce, la scrittura, l’agire creativo - alla pari - reciprocamente tra attori culturali e partecipi dell’atto, tutti insieme pubblico di una sperato ritorno alla vita. Per strada, nei giardini, nei cortili, nei teatri svuotati dalle sedute, uno a uno in relazioni piccole, dove ognuno avrà lo spazio per riflettere e considerare ciò che è capace di dare e di accogliere.

La Gazzetta del Mezzogiorno, lunedì 18 maggio 2020

domenica 10 maggio 2020

Il Virus e la Cultura



di Mauro Marino*

La Cultura è la materia che fa la vita: chi siamo, come ci vestiamo, ciò che scegliamo di guardare - in televisione, al cinema, nelle vetrine dei negozi - di ascoltare, leggere, mangiare; quello che ci attrae per strada, quello a cui aspiriamo, è frutto del modello culturale che, volenti o nolenti, ci forma individualmente e come comunità. Qualcuno ha scritto: “Il Virus è un ottimo maestro se lo si sa ascoltare”, anch’io lo credo. Ciò che ci è accaduto con la quarantena, ciò che ancora ci coinvolge, è una straordinaria occasione di cambiamento su cui bisogna riflettere e lavorare - alla pari - affinando la nostra capacità di ascolto nell’accogliere l’altro, le sue necessità e per dare contenuti ad una reciprocità da sperare fattiva e virtuosa per il domani. Questo è un momento storico fortemente “culturale” perché è proprio un modello culturale che è entrato in crisi, tentare di mutarlo è necessario, vitale. Non capitava da tempo, in maniera così epocale e radicale, nel chiedere agli uomini impegno e responsabilità; non capitava dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È stato quello un momento in cui l’umanità piegata - ferita dall’arroganza sanguinaria delle dittature, dalla scelleratezza della guerra, dall’oscenità dei campi di sterminio e della bomba atomica - è stata chiamata ad agire e a muovere ogni energia possibile per dare forma e concretezza alla rinascita. Certo, è durato poco, lo spirito di solidarietà e fratellanza non ha avuto il tempo di germinare e di radicare. Lo sappiamo, la Storia non è mai maestra e ciò che è venuto dopo non ha fatto altro che confermare che “fraternità” e “solidarietà” sono valori fragili di fronte ai privilegi del potere, della supremazia e dello sfruttamento. Una fragilità che a permesso alle élite di affinare strumenti di controllo, di orientamento delle persone e dell’opinione pubblica, nei consumi, nel pensiero e dunque nelle scelte culturali. Anche fatti gravi, terribili - come le guerre nei Balcani, quelle in Medio Oriente, le Torri Gemelle, il disastro africano - sono serviti a poco dal punto di vista della creazione di una coscienza e di un sentimento sinceramente comunitario dimostrandosi - con tutto il loro portato drammatico - solo utili a rinvigorire divari conflittuali e politiche securitarie, nutrendo nuovi fascismi e sovranismi.
Oggi, l’intero pianeta, è chiamato a confrontarsi con l’invisibilità di un virus e il Mondo della Cultura (lo scrivo maiuscolo per significarne la complessità) è chiamato a interrogarsi sui contenuti che vorrà condividere, nel presente e nel prossimo futuro, con le persone - non con il pubblico, con gli spettatori - queste sono categorie che appartengono al passato, ma con i compartecipi dell’atto culturale.
Dobbiamo dare prospettiva alle ragioni di una Cultura che deve avere la virtuosa pretesa di rifondare la convivenza umana, la relazione uomo natura, la responsabilità verso la “casa comune” che chiede di essere ascoltata, rispettata, curata.
Bisogna recuperare uno sguardo dolorante sulle cose, fare critica, essere crudeli anche, frontali, schietti, essere la voce di un immaginario capace di farsi carico delle ferite inferte alla terra in anni e anni di scellerato sfruttamento delle risorse naturali e degli uomini. La memoria potrà essere utile alleata nel delineare percorsi volti alla ricerca e all’approfondimento tematico, abbiamo esempi profetici - di intellettuali, di artisti, di poeti, di politici - di grande valenza teorica, poetica e operativa, dimenticati, esclusi, spesso denigrati dalle vulgate che si sono avvicendate nel dare linfa alle Mode, alle Tendenze, al Consumo.
Ma ciò che più d’ogni cosa il Virus può insegnarci è il ritorno ai territori. La riflessione sulla e nella casa, il riprendere il filo di sé, nell’attesa del “liberi tutti”, ha certamente reso sensibili anche i più coriacei (speriamo). Compito allora degli Attori Culturali è quello oggi di farsi carico di quei valori, di quelle esperienze, di quelle vite che nella lateralità hanno costruito la qualità dei territori, la loro rilevanza poetica, la loro particolarità, per nutrire un sentimento di comunità capace di declinare un Noi, ampio, al servizio della Terra e di chi la abita. Così come si è messo ordine alle foto di famiglia, ai file persi nei PC, alle carte d’una vita così è bene operare per rendere leggibile il passato in virtù di una nuova narrazione culturale che ponga in primo piano i valori sconfitti, sia motivo di lotta, di proposta politica, di un agire culturale e sociale volto all’umano per promuovere nuova umanità. Se falliremo non ci sarà più futuro, se prevarranno le ragioni economiche, del rimborso, della paghetta, della quantificazione della perdita, non ci sarà più futuro. Lo Stato deve tornare a fare lo Stato, la cultura deve aiutare, deve produrre l’humus necessario, a sostenere con umiltà, rigore e speranza la crisi economica che si prospetta, non per alleviarne il graffio ma per renderlo rigenerante.

* La Gazzetta del Mezzogiono, 10 maggio 2020

mercoledì 22 aprile 2020

Lecce e le sue molte case della cultura


Mauro Marino*

La senatrice Adriana Poli Bortone ha accolto, con fastidio, l’annuncio dell’approvazione del protocollo firmato dall’Amministrazione Comunale di Lecce con la Regione Puglia per avviare, una riflessione e una agire comune, nella valorizzazione dei beni monumentali cittadini. Nell’accordo sono inscritte molte potenziali “case” culturali della nostra città: il Must per le parti espositive; una quota parte del Castello Carlo V, il Teatro Apollo; il Teatro Paisiello; Palazzo Turrisi; le parti destinata alla pubblica fruizione dei Teatini e del Conservatorio Sant’Anna, l’Ex Convento degli Agostiniani per la parte destinata all’Archivio Storico; il Museo Ferroviario della Puglia (di concerto con la Onlus che lo gestisce).
La senatrice si appella al mancato coinvolgimento del Consiglio Comunale e si oppone all’accordo - evocando anche i favori del Covid 19 nella cospirazione - con il piglio del “particolarismo” locale, il sovranismo del sovranismo: “La cultura a Lecce non era mai scesa così in basso – scrive – rappresentava un’eccellenza in campo culturale e non solo a Lecce”. Certo, è ancora così! Ma c’è da considerare che se lo è stata e lo è ancora non è per merito di certa politica ma sicuro per la capacità di resilienza dimostrata dagli autori, dagli artisti, dai creativi che la rappresentano e l’hanno rappresentata.
Ora, concertare una politica trans-cittadina capace di rafforzare il portato finanziario e ideativo nell’immaginare politiche di valorizzazione dei beni monumentali a disposizione della città non è certo un suicidio identitario. Lecce è in Puglia e la Puglia mostra di avere in questi, ormai lunghi anni di governo del Centro Sinistra, fortemente puntato alla piena visibilità della sua vocazione culturale finalizzando anche la filiera turistica a questo scopo. C’è un buon turismo se c’è una buona cultura, una buona tradizione di pratiche e una contemporaneità capace di accoglierla e di mutuarla al presente.
L’istituzione del Polo Biblio Museale, quale articolazione territoriale del Dipartimento Turismo, Economia della cultura e Valorizzazione del territorio della Regione Puglia, rafforza l’idea di una visione territoriale aperta all’incontro, allo scambio esperienziale, alla contaminazione, alla piena apertura di luoghi che sì, in passato, sono stati meritoriamente recuperati ma che sono stati poi “abbandonati” o usati come uffici. Luoghi che spesso, già in partenza, si sono dimostrati limitati nella possibilità d’uso per il mancato adeguamento degli stessi – in fase di recupero - alle più elementari norme di accessibilità nella pubblica fruizione con enormi colpevoli “distrazioni” del committente al momento della consegna del bene restaurato, tantissimi gli esempi di mal funzionamento che evito qui di elencare.
Il problema è ora rendere virtuoso questo accordo - tutto politico e strategico - nella sua fattibilità. L’Amministrazione Comunale e il Polo Biblio Museale apriranno una fase di approfondimento sulle diverse vocazioni e particolarità dei luoghi? L’annunciata istituzionalizzazione delle Consulte (tra cui quella dedicata alla Cultura) sarà motivo di un confronto aperto e corale sulle modalità di gestione? Il mondo degli operatori culturali in che modo sarà chiamato a partecipare alla novità?
Tre domande che spero si siano posti i firmatari del Protocollo nel dar seguito all’accordo sancito.
Dovremmo averlo imparato, un luogo vive se è animato, se è attraversato da un pubblico pienamente partecipe del bene condiviso, se è condotto da persone capaci di dare destino alla propria passione culturale nell’incontro con l’altro. Non ci si può limitare alla buona volontà di uscieri più o meno capaci, alla provvisorietà di programmi gestiti nel giorno per giorno dall’eroica dedizione degli uffici. Bisogna pensare che il cambiamento va servito con il cambiamento e la nostra città ha bisogno, soprattutto oggi, di dare compiutezza alla “rivoluzione” avviata lo scorso 26 maggio.

La Gazzetta del Mezzogiorno, mercoledì 22 aprile 2020

domenica 29 marzo 2020

Necessità e utilità dei giorni dell’attesa



di Mauro Marino*

Quello che in questi giorni ci accade è tragicamente necessario e utile. Non è cinismo, è semplicemente constatare la realtà della prova che siamo chiamati ad affrontare. Dovevamo fermarci - questa la necessità e l’utilità - dovevamo farlo. Ci si è messa di traverso la fatalità di un evento, l’imprevisto del virus, a frenare la velleità e l’arroganza con cui abbiamo sin qui creduto di poterci confrontare con la Terra, con la Natura, con la loro potenza sovraumana. Qualcosa doveva accadere, i più sensibili lo sapevano, lo sentivano. Non poteva essere una guerra a frenarci, anche se, immancabili, sono i grugni e i grugniti di chi affronta le cose del Mondo con la rabbia, alimentando conflitti e paure, facendosi capo di “truppe” sempre più esacerbate e faziose; anche costoro, oggi, son costretti a riflettere. Non sempre ci riescono, presi come sono dalla parte da interpretare, ma appaiono fiacchi, a tratti esitanti; speriamo che, quest’esitare, li nutra rendendoli umani, al servizio dell’umano se il “servire” hanno scelto come compito politico, e siano capaci di trovare parole nuove, altre, nell’accogliere l’urgenza del momento, pacificate, lucide, essenziali, utili a elaborare il monito, per il futuro.
Quella che siamo chiamati ad affrontare è una prova di resistenza, una prova estrema nella sua crudeltà ma allo stesso tempo nella sua semplicità. Crudele perché miete vittime, a migliaia, i più deboli e i più valorosi; questa sì che è una guerra, le truppe chiamate ad affrontarla sono spesso disarmate, soldati - medici, infermieri, volontari della protezione civile - capaci e motivati dalla loro scelta di essere dono per l’altro, ma “disarmati” come “disarmati” erano i soldati mandati alla guerra con le scarpe di cartone.
Crudele perché smaschera l’inutilità di scelte che, soggiogate da un’economia scellerata, solo volta all’accumulazione, al “bene” finanziario, hanno tradito il mandato affidato dalle persone alla politica: il governare, che è aver cura della Casa Comune. Una casa grande, sempre più complessa e bisognosa, abitata da urgenze, da necessità, da desideri da accogliere avendo sempre bene in mente che l’ascolto è la chiave di ogni concertazione, di ogni scelta, nell’urgenza di dovere corrispondere a una coralità. L’interesse è uno, unico nella Comunità: lo star bene di tutti. La prosperità non è nulla se manca delle basi di sostegno alla vita, l’istruzione, la sanità, il benessere, l’accessibilità ai servizi e il funzionamento degli stessi, sono alla base di una società che vuole essere Comunità Solidale. Sapremo diventarlo?

Semplice, perché ci riporta all’essenziale. Questo stare in fila, in silenzio, provando la disciplina dell’attesa, deve insegnarci a guardare l’altro, a stare con l’altro, nel rispetto reciproco; anche la distanza è virtuosa quando serve a guardare la completezza, quando media la smania consumistica e usurante. Respirare l’aria che s’è fatta più pulita deve servire a capire che non è necessario sempre usare l’automobile per fare le cose, il non dover avere l’urgenza di apparire belli e imbellettati può essere utile a ritornare nella normalità dell’essere che non è “pochezza” ma sapere ciò che si è, come si è, per chi si è.
Riconsiderarsi, riconsiderarci, è il compito che questa sciagura ci affida. C’è tempo per riflettere, per maturare, speriamo sia efficace questo restare a casa, questo semplice “stare” al riparo, a difendere la vita, nella fortuna di non doverci ammalare; speriamo sia capace di sanare le nostre inquietudini, il nostro sfrenato individualismo, il nostro egocentrismo, la fretta del dover fare, la voracità del consumare, la smania del comunicare; sia freno, miracolo per poterci immaginare, domani, migliori.

#iorestoacasa

*La Gazzetta del Mezzogiorno 29 marzo 2020

lunedì 23 marzo 2020

Lecce, ex Agostiniani. Una biblioteca di tutti gestita da tutti


di Mauro Marino*

L’attuale crisi sanitaria e la prossima prevedibile crisi del sistema economico impone una riflessione sulla gestione futura dei Beni Comuni.
É di pochi giorni fa l’annuncio di un nuovo bando, promosso dall’Amministrazione Comunale di Lecce, per l’affidamento della gestione della biblioteca civica da realizzare nel complesso degli ex Agostiniani; il precedente avviso è andato deserto perché troppo oneroso per gli aspiranti conduttori. Questo secondo si annuncia calibrato “tenendo presente l’attuale contesto socio economico del territorio e la connotazione altamente sociale dell’intervento”. C’è da meditare. Lo so, sono un marziano, ma… non credo ai Bandi nella gestione del Bene Comune; l’interesse pubblico va tutelato - coordinato nella costruzione di processi realmente partecipativi - dalla pubblica amministrazione.
La recente cronaca ci insegna come una gara di gestione vinta si risolva con la chiusura del bene affidato e, chi ha avuto modo di dover fare attività culturale in quel “bel luogo”, ha potuto constatare quanto poco culturale si sia dimostrata - per stile, per linguaggio, per cortesia e spirito di collaborazione - quella conduzione, tant’è!, valga però come monito.
Quella da costruire nell’edificio satellite degli Agostiniani nasce nell’ambito del grande progetto regionale delle Community Library, con un finanziamento di 740 mila euro, dovrà dunque essere una Biblioteca di Comunità, parola importante quel “comunità” che, anche per quanto si è prefigurato nel percorso partecipativo che l’ha pensata e ideata, cozza con l’idea che a gestirla sia un privato.
Quella Biblioteca deve essere, a mio avviso, una vera e propria Biblioteca Comunale, un luogo della Pubblica Lettura, come si usa dire; un luogo aperto all’incontro, all’approfondimento, alla proposta, al relax intellettuale e ludico, alla formazione. Un luogo di tutti, e allora, perchè non costruirlo con il concorso e la cooperazione di coloro che, in città, sono attivi nel quotidiano lavoro culturale?
Non bisogna dimenticare che l’edificio satellite che ospiterà la Biblioteca è incluso in un complesso architettonico straordinario, interessato da numerose vicende storiche, una narrazione che merita di essere restituita alla città con tutta la sua complessità, lo si può fare solo attraverso una reale apertura di quello spazio in tutta la sua bellezza. Uno spazio da vitalizzare, da destinare all’attività e alle necessità culturali della città, cuore di un sistema, di una rete, che solo avendo un centro può pensare di irradiare la sua portata in tutta la città e per tutta la comunità. Le strategie d’uso degli spazi di proprietà comunale indicano come sede dell’Archivio Comunale la parte monumentale degli Agostiniani, perché sacrificarla per intero a questo compito? Certo, anche un archivio è luogo interessante, ma il rischio è che diventi un deposito di carte… Evitiamolo progettando semmai un archivio che respira insieme al presente con il carico delle tante necessità espressive che animano e attraversano (spesso segretamente e inascoltate) la nostra città.
Un esempio attivo, molto virtuoso, di rivitalizzazione di uno spazio culturale pubblico lo abbiamo: la Biblioteca Nicola Bernardini trasferitasi per intero negli spazi dell’ex Convitto Palmieri si mostra oggi nuova, così come nuovo è il Museo Sigismondo Castromediano. Andate a visitarli, vi appariranno trafficati e densi nel realizzare una proposta culturale di grande respiro, partecipata dalle necessità di una platea di operatori  sempre più fitta, motivata dal poter fare. Un fare che trova ascolto, ospitalità, coraggio. A regolare le realizzazioni un patto tra l’ente che gestisce e chi realizza. Ecco, ciò che penso potrebbe aver valore, riguardo alla nuova Biblioteca di Comunità, sia un bando rivolto alle proposte, ai contenuti, per realizzare le finalità da perseguire, l’apertura una stagione di ascolto (che certo non andrà deserta) per rilanciare i processi partecipativi che l’hanno generata e potenzialmente resa possibile.

*Associazione Culturale Fondo Verri
La Gazzetta del Mezzogiono, lunedì 23 marzo 2020

venerdì 13 marzo 2020

La città nella “fortuna” della pausa



di Mauro Marino

Pare nuova la città, altra, inedita, così come tutti i luoghi che hanno scelto la “fortuna” della quarantena, dell’#iorestoacasa. Fortuna sì, perché ben venga la pausa, questo fermarsi: sia grazia per il dopo, per ciò che verrà se quello che oggi viviamo sarà d’insegnamento per il futuro, di indirizzo sulle priorità dello stare a vivere, individuale e collettivo.
Poca gente in giro, a sera tutto deserto. Son tutti in casa! Un dono! La strada dove abito di solito è trafficata in arrivo da sud, ieri era silenziosa, naturale nel respiro della notte. Lecce non più meta serale di quanti la raggiugono per la sua movida, appare surreale e trasognata con il suo barocco. Le facciate delle chiese, le decorazioni dei balconi, tornano a esprimere il loro monito se guardi con attenzione, in questa possibile, ritrovata, capacità di soffermarsi sul senso, sul significato di quelle pietre così fittamente scritte: la fatica dell’uomo regge il mondo, questo racconta il barocco. La bellezza, l’abbondanza, la gloria vengono da quella fatica. L’abbiamo scordato, ognuno di noi l’ha dimenticato e questa sollecitazione alla responsabilità, nell’emergenza, ci riporta sorprendentemente in vita, alla concretezza, alla necessarietà.
Abbiamo miseramente dimenticato cos’è la vita, il suo trascorrere, presi dall’ubriacatura di un Tempo titolato all’egoismo, alla  consumazione delle cose, al profitto per il profitto, all’usura continua di tutto. Soffermarsi, stare nel letargo, pare esercizio complesso, difficile ritrovare il contatto con la semplicità della casa, con il governarla, pare noioso, insopportabile. No, deve essere un esercizio di virtù per noi inesplorate, un’avventura nuova. Ritroviamoci, ritroviamo il corpo in questo momento in cui siamo chiamati a difenderlo, a proteggerci. Reimpariamo l’attesa stando in fila, reimpariamo il rispetto nella distanza di un metro che ci separa dall’altro, c’è molto da apprendere nel fare ascolto della regola, c’è da ritrovare la completezza dell’umano, di una lingua capace di metabolizzare la rinuncia per farla nuovo sapere, nuova immaginazione, nuovo futuro. Un altro futuro, non quello a cui tristemente e in maniera suicida ci eravamo destinati.
Questo è un tempo per me di letture, i libri sono la compagnia che ho scelto, il silenzio del viaggiare tra le pagine. E cercando ho trovato: la nostra contemporaneità vive “il corpo come un accidente e non come un predicato incluso in noi” è il filosofo Miguel Benasayag a scriverlo in “Contro il niente – abc dell’impegno”. Ecco, ciò che dobbiamo, ritrovare in questa quarantena è la nostra propria individualità, la contingenza che ognuno di noi è chiamato a vivere, la particolarità che ci abita per ridonarla domani ad un noi più consapevole, più solidale, capace di capire ciò che è necessario, al riparo dalla violenza e dall’odio, nella speranza che questi giorni non siano stati vani.

La Gazzetta del Mezzogiorno, venerdì 13 marzo 2020


domenica 2 febbraio 2020

Non mollare mai!



 
Dorian Dumont, Dario Congedo e Federico Pecoraro (Foto di Ilenia Tesoro)

Come in una fiaba, le note del basso elettrico di Federico Pecoraro recitano il prologo, la evocano in apertura i lievi tocchi della batteria di Dario Congedo e del pianoforte di Dorian Dumont; l’altro tempo, quello della Storia, per un momento rimane fuori. Il teatro è teso nel tentativo, fa sfida, accudisce ogni incanto, da tregua. “Don’t quit”, non mollare!, sussurra chi cerca nel creativo la via d’uscita del proprio sentire, per dare voce, linea espressiva all’inquieto che sempre abita i sensibili.
E di sensibilità è fatta la musica, di ascolto profondo tra chi la interpreta. La giusta miscela del suono viene dall’accogliersi e dal donarsi reciproco; rispetto e attesa completano qualsiasi partitura. Un’energia speciale, contaminante, se ti abbandoni, sospendi il giudizio, ascolti. La musica parla? Sì, parla! Come in un libro raccoglie “note a margine”, misura la memoria dei luoghi nel confronto con la nostalgia. Si pone domande, sempre, oltre ogni contraddizione.
Non mollare, don’t quit! anche se le risposte non vengono, se non finisci il compito dato, tutto matura nella costanza della ricerca, nell’esito del suono... E la magia di un parco innevato a New York si concretizza in un tappeto di suono: quella solitudine la ritrovi, intera, regale, nel divenire delle note Così m’è parso, ieri, sabato 2 febbraio, ascoltando, a Novoli, nel Teatro Comunale, per "Dario Congedo presenta “Don’t quit” a Novoli Eventi a Lecce
Novoli Sounds Good,
 la presentazione del nuovo disco di Dario Congedo, “Don’t quit”, appunto, prodotto dall’etichetta Workin' Label, per la distribuzione di I.R.D.

#mauromarino
#tornoallepersone