domenica 8 novembre 2015

Difendere Casa Comi è difendere il Salento della Cultura






Dallo scorso settembre Casa Comi, a Lucugnano, è occupata. Il Comitato guidato da Simone Coluccia s’è fatto promotore di una lettera rivolta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Ministro dei Beni Culturali Enrico Franceschini per difendere quello che, senza dubbio, dovrebbe essere considerato un “bene comune” della Terra Salentina e del Sud d’Italia perché, l’Accademia Salentina, per “lunghi anni meditata” e fondata dal poeta Girolamo Comi il 3 gennaio del 1948 con Oreste Macrì, Mario Marti e Michele Pierri è uno degli esempi più alti del fare cultura nel Mezzogiorno.

Un fare cultura “meridiano”, puro, “incapace" per molti versi (ed è un merito questa incapacità) di far denaro con la Cultura, nonostante l’economia non fosse estranea alle scelte del barone di Lucugnano. Il “Comitato pro Palazzo Comi” chiede che venga annullato o modificato il bando indetto dalla Provincia di Lecce (ente proprietario dell’immobile e dei beni in esso conservati) che prevede l’assegnazione trentennale a dei privati”. “Un bando – scrivono i promotori dell’occupazione - ricco di imprecisioni, che manca di tutelare in maniera chiara e non interpretabile l’immenso patrimonio artistico, storico e culturale di Casa Comi”. La vicenda del barone Comi è complessa, basta andare a leggere la sua biografia per accorgersi della levatura europea del personaggio e dell’utopia che abitava il suo pensiero.



Il primo numero de L’Albero – voce trimestrale dell’Accademia Salentina – è del gennaio 1949. In quel numero della rivista c’è, in un articolo firmato da Giuseppe Macrì, l’“Invito ad un nuovo Salento”; ancora non ci siamo arrivati e del destino di chi ha sognato (e di chi sogna) una terra al riparo dall’usura e dalla consumazione commerciale pare non freghi alla maggioranza delle genti salentine: amministratori e popolo uniti nella pochezza della visone e nell’insensibilità.  La difesa di Palazzo Comi non è solo la difesa di una biblioteca o della casa di un poeta anche se, in altre province, le case dei poeti sono strumento e leva di promozione territoriale, pensiamo alla Recanati di Leopardi o alle Langhe di Pavese e Fenoglio. la difesa di Casa Comi è la difesa della prerogativa culturale di questa terra, difendere l’esperienza letteraria del Novecento è difendere la qualità di una visione volta al futuro per continuare a perseguire quel “Salento da Amare” che la politica ha mancato di governare e di realizzare. Le stanze dell’Accademia Salentina con i libri, le carte, l’epistolario, gli oggetti, la pregevole collezione di arazzi sono state (e possono tornare ad essere) il luogo, il segno e il motore di una nuova possibilità: agire la cultura per mutare la condizione (anche economica) di una comunità. In questo il sogno e l’utopia di Girolamo Comi che fu fulgido poeta, ottimo operatore culturale e sfortunato imprenditore. Per Comi l’Accademia e la rivista erano legate all’Oleificio, al moderno stabilimento che costruì e che avrebbe dovuto dar lavoro e dignità alla sua gente. Un tentativo di imprenditoria solidale che portò in breve tempo il poeta alla rovina finanziaria. Una vicenda dall’epilogo amaro, nel 1961 la proprietà di Casa Comi passò alla Provincia di Lecce (Ente allora illuminato lo stesso, che a quel tempo, si fece promotore del Premio Salento) il poeta ne divenne custode e bibliotecario fino alla morte nel 1968. Oggi con un Ente Provincia in disarmo Casa Comi rischia di non avere futuro, il passato glorioso di quell’avventura che ha visto protagonisti nelle stanze di Lucugnano Maria Corti, Oreste Macrì, Mario Marti, Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Rina Durante, Vincenzo Ciardo, Luigi Corvaglia, Enrico Falqui, Ferruccio Ferrazzi, Alfonso Gatto, Michele Pierri, Alda Merini, Luciano Anceschi rischia di non avere più epigoni. Tanti e tanti altri giungevano in quello sprofondo di Sud e in quelle stanze “trovavano amiche anche le ombre”. Un modello da rilanciare, da perseguire perchè Lucugnano sia di nuovo meta di pensiero, di pratiche e di “utopie”.

Mauro Marino, La Gazzetta del Mezzogiorno 8 novembre 2015

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