di Mauro Marino*
Quello che in questi giorni ci
accade è tragicamente necessario e utile. Non è cinismo, è semplicemente
constatare la realtà della prova che siamo chiamati ad affrontare. Dovevamo
fermarci - questa la necessità e l’utilità - dovevamo farlo. Ci si è messa di traverso
la fatalità di un evento, l’imprevisto del virus, a frenare la velleità e
l’arroganza con cui abbiamo sin qui creduto di poterci confrontare con la Terra,
con la Natura, con la loro potenza sovraumana. Qualcosa doveva accadere, i più
sensibili lo sapevano, lo sentivano. Non poteva essere una guerra a frenarci,
anche se, immancabili, sono i grugni e i grugniti di chi affronta le cose del Mondo
con la rabbia, alimentando conflitti e paure, facendosi capo di “truppe” sempre
più esacerbate e faziose; anche costoro, oggi, son costretti a riflettere. Non
sempre ci riescono, presi come sono dalla parte da interpretare, ma appaiono fiacchi,
a tratti esitanti; speriamo che, quest’esitare, li nutra rendendoli umani, al
servizio dell’umano se il “servire” hanno scelto come compito politico, e siano
capaci di trovare parole nuove, altre, nell’accogliere l’urgenza del momento,
pacificate, lucide, essenziali, utili a elaborare il monito, per il futuro.
Quella che siamo chiamati ad
affrontare è una prova di resistenza, una prova estrema nella sua crudeltà ma
allo stesso tempo nella sua semplicità. Crudele perché miete vittime, a
migliaia, i più deboli e i più valorosi; questa sì che è una guerra, le truppe
chiamate ad affrontarla sono spesso disarmate, soldati - medici, infermieri,
volontari della protezione civile - capaci e motivati dalla loro scelta di
essere dono per l’altro, ma “disarmati” come “disarmati” erano i soldati mandati
alla guerra con le scarpe di cartone.
Crudele perché smaschera l’inutilità di scelte che, soggiogate da un’economia
scellerata, solo volta all’accumulazione, al “bene” finanziario, hanno tradito
il mandato affidato dalle persone alla politica: il governare, che è aver cura
della Casa Comune. Una casa grande, sempre più complessa e bisognosa, abitata da
urgenze, da necessità, da desideri da accogliere avendo sempre bene in mente che
l’ascolto è la chiave di ogni concertazione, di ogni scelta, nell’urgenza di
dovere corrispondere a una coralità. L’interesse è uno, unico nella Comunità:
lo star bene di tutti. La prosperità non è nulla se manca delle basi di
sostegno alla vita, l’istruzione, la sanità, il benessere, l’accessibilità ai
servizi e il funzionamento degli stessi, sono alla base di una società che
vuole essere Comunità Solidale. Sapremo diventarlo?
Semplice, perché ci riporta
all’essenziale. Questo stare in fila, in silenzio, provando la disciplina
dell’attesa, deve insegnarci a guardare l’altro, a stare con l’altro, nel
rispetto reciproco; anche la distanza è virtuosa quando serve a guardare la
completezza, quando media la smania consumistica e usurante. Respirare l’aria
che s’è fatta più pulita deve servire a capire che non è necessario sempre
usare l’automobile per fare le cose, il non dover avere l’urgenza di apparire
belli e imbellettati può essere utile a ritornare nella normalità dell’essere
che non è “pochezza” ma sapere ciò che si è, come si è, per chi si è.
Riconsiderarsi, riconsiderarci, è
il compito che questa sciagura ci affida. C’è tempo per riflettere, per maturare,
speriamo sia efficace questo restare a casa, questo semplice “stare” al riparo,
a difendere la vita, nella fortuna di non doverci ammalare; speriamo sia capace
di sanare le nostre inquietudini, il nostro sfrenato individualismo, il nostro
egocentrismo, la fretta del dover fare, la voracità del consumare, la smania del
comunicare; sia freno, miracolo per poterci immaginare, domani, migliori.
#iorestoacasa
*La Gazzetta del Mezzogiorno 29 marzo 2020
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