domenica 15 dicembre 2019

Cristina Carlà o dell'impastare la vita

Sulla copertina la figura di una donna, le braccia distese lungo la larga gonna di un abito di foggia antica, invece delle testa i petali di un papavero rosso. Un’immagina enigmatica, ma forse, pensandoci bene, no, è tutto molto chiaro: la densità di quel rosso custodisce la fragilità di un fiore che se reciso ha poca vita, potente e fragile insieme, capace di resistere. Questa la chiave, il resistere, la tenacia, il confermarsi in una militanza tutta dedicata alla vita.
Sì! Cristina Carlà è un’affabulatrice, con tutto l’incanto di chi sa stare nella magia del narrare, in equilibrio tra reale e surreale e fa vertigine con le parole.
Lei, le parole, le sa mettere giuste giuste, una dopo l’altra e poi ti incanta mischiando l’italiano con il dialetto in coloriture mai acide, densamente ironiche sì, anche quando il dolore domina, dando tempo alle pause, all'esitare, al ripensamento, all'osare.
Il teatro le è prossimo e i suoni, il ritmo del dire concertano forma di favola, sviluppano intrecci e azioni. Scene proprio, dove la vita te la vedi scorrere davanti, con le sue consuetudini, con i cambiamenti, gli amori, i dolori e una femminilità che impasta la vita e ne fa pane, racconto.

Questo trovi leggendo “Il colore delle cose fragili”, “la parte migliore” di Cristina Carlà così si legge nella nota che accompagna il libro, primo della collana “Taccuini e altre cose” di Collettiva edizioni indipendenti. “Racconti, versi e altre visioni cromatiche” recita il sottotitolo, il viola, il blu, il rosso, il nero danno ordine ai racconti, rappresentando i colori di una fragilità esaltata come valore, come leva da cui far nascere la consapevolezza del poter stare vivi nella vita. Attenti nella tensione del “creativo” che ci abita e che fa seme solo se si è capaci di abbandonasi oltre ogni giudizio al dovere di esplicitarsi, di mostrarsi, di esser nella piena caratura della propria espressività. Una scrittura interamente calata nel quotidiano, agita con il corpo prima di essere metabolizzata e scritta. Autentica, si può dire? Sì, autentica, come quando senti che le parole dalla pagina vanno naturalmente alla voce per essere dette, lette a voce alta, e lì la verità, è lì che l’autenticità si svela, in movimento, andando, istante dopo istante, incontro al mondo, alla bellezza che lo abita nella semplicità della “povera” vita che ci è dato di vivere.

Ah!, la bellissima immagine di copertina è di Valeria Puzzovio.

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