sabato 17 agosto 2013

Tap, una nuova intelligenza per il "no"

di Mauro Marino*

Sotto il sole viene bene leggere, ma poi, il calore, rischia di mischiare i pensieri che debordano e un "no" radicale può farsi via via mansueto e farsi possibilità... Un colpo di sole! Solo quello?
La visita di Enrico Letta nella terra del gas nei giorni scorsi ufficialmente impegna il governo italiano nel progetto Trans-Adriatic Pipeline. E' cronaca: "l’accordo sulla Tap è centrale non solo per il futuro dell’Italia, ma per tutta l’Unione europea" sono le parole di Presidente del Consiglio italiano a Baku al cospetto del presidente dell'Azerbaijan Ilhan Aliyev, al quale ha ribadito la propria “soddisfazione” per la scelta del progetto del gasdotto che, attraversando Turchia, Grecia ed Albania, arriverà in Italia, in Puglia, a San Foca, portando in Europa il gas del Mar Caspio. Un'opera che "in prospettiva sposta il cuore degli hub energetici europei”.
Sembra tutto deciso. Fatto! A che serve scalmanarsi allora contro un progetto considerato dalla Unione Europea di "comune interesse"?
E se provassimo ad avere dei pensieri "osceni" e sulla questione ci allenassimo a ragionare in termini di garanzie per la tutela del territorio? Ad elaborare una nuova intelligenza dell'essere "movimento? Si potrebbe dire: «Vi facciamo passare il gasdotto ma puntiamo ad una valorizzazione complessiva della bellezza e della particolarità territoriale con iniezioni di denaro e di progetti tutti volti alla compatibilità e al risanamento ambientale». Ridiscutiamo le grandi opere, i progetti delle "grandi" strade, l'abbandono delle zone industriali, il tradimento delle campagne invase dal fotovoltaico. Ridiscutiamo di cultura e di turismo, ridiscutiamo di molto altro, ce n'è bisogno...
Parole grosse certo. Parole tante volte sentite, ma si tratta questa volta di considerarle nella possibilià concreta di attuarle tentando "organismi" capaci di gestire quella che si annuncia come un'emergenza. Una grande opera è sempre un emergenza che dovrebbe sollecitare attenzione, cura, dedizione e tempo dedicato prima, durante e dopo la sua realizzazione. Non sempre (quasi mai è così) e allora spetta a chi è portatore di "no" radicali disporsi all'invenzione di pratiche che dall'antagonismo si volgano alla gestione del bene comune... Chi deve avere "vantaggi" da un'opera indigesta non devono essere allora le solite lobby, le congreghe politiche ma l'intera comunità se solo fosse capace di considerarsi tale, se solo ci fossero energie capaci di "educarla" a percepirsi tale...
Siamo giunti al nodo di un processo storico avviatosi negli anni Novanta. Il "capovolgimento del Mondo" giunge a compimento e gi sbarchi degli albanesi che recentamente abbiamo celebrato guardando film, servizi tv e fotografie fanno tenerezza. Adesso il Salento, questo Salento, si appresta a divenire punto di approdo della nuova "autonomia" energetica dell'Europa: basta con il gas di Putin- (e Berlusconi) è l'ora nuova... E allora chissà - e questo è altro pensiero osceno (?) – che non sia un caso che il Ministro della Cultura di Letta sia un "salentino", Massimo Bray, già presidente della Fondazione Notte della Taranta miccia della deflagrazione culturale di questo territorio e che non sia un caso la candidatura di Lecce a Capitale della Cultura nel 2019, verrebbe più facile se aiutassimo "in prospettiva – a spostare - il cuore degli hub energetici europei”.

*su La Gazzetta del Mezzogiorno di sabato 17 agosto 2013

giovedì 1 agosto 2013

Lecce dello sgoverno

Il buon Airan Berg - Coordinatore Artistico di Lecce2019 – racconta, nei suoi incontri, che quando intrecciando le mani ponendo il pollice destro su quello sinistro non sentiremo alcun senso di difficoltà saremo pronti a divenire Capitale della Cultura Europea.
Credo sia un modo per dire che non potremo mai farcela...
Scherzo ma in cuor mio lo credo anch'io visto come van le cose e certo – non sottraendomi all'impegno - proverò piacere quando capiterà di superare le varie fasi che ci avvicineranno al 2019...
Intanto, in attesa e sperando che qualcosa realmente accada (ma non credo ai miracoli), ne vediamo delle "belle" nella "città bottega" che questo pare si diventata Lecce, sempre più sgovernata, sempre più allo sbando, invasa dal nulla turistico che sacrifica la qualità alla quantità...
Alcuni giorni fa, in Piazza Sant'Oronzo, ci si preparava all'ennesimo (ingombrante) evento: il solito lampione smontato, il travaglio delle pesanti fioriere in pietra leccese per l'ennesima volta sollevate e spostate (una adesso giace imbragata e rotta), l'arrivo del grande palco nero su ruote e via via i bagni chimici, le transenne e tutto ciò che serve a trasformare il "salotto" della città in un'arena...

Nella stessa mattina, una piccola e poetica parata di attori con un minuscolo tavolino ha osato far sosta nella piazza del Santo. É bastato il solo esserci per sollecitare la piccata "solerzia" del vigile urbano di turno che s'è messo a chiedere permessi, licenze e non so cos'altro... La Compagnia (anzi le tre Compagnie) eran lì per dire alla città che una significativa rappresentanza del teatro leccese era in partenza per Edinburgo, in Scozia, per prender parte ad un'importante kermesse... Ma avevan fatto male i conti gli attori, alla città candidata a divenire capitale della cultura nel 2019 non interessa nulla del lavoro dei suoi artisti, non interessa nulla della libertà d'esprimersi, delle difficoltà che, chi opera nel creativo - che è poi lavoro rivolto alla comunità e al suo crescere – trova nel quotidiano, per cui, meglio tacere, partirsene e sperare che altri successi giungano magari la proposta di rimanere ad Edimburgo per dar lustro con l'arte ad altri luoghi, ad altre civiltà e ad altre culture.

Quella di "Reinventare Eutopia" - così è stata battezzata l'operazione candidatura - è una grande opportunità per la nostra terra, ma c'è molto da fare, tanto! Prima di tutto tentare di capire che i luoghi del fare culturale devono essere luoghi aperti, capaci di accogliere e di elaborare le istanze espressive. Lecce non ha ancora compreso bene come destinare le sue risorse: Castello, Teatini, Conservatorio Sant'Anna, adesso il MuSt procedono a vista, mancando di una direzione confondono ruoli e funzioni. Non si è ancora capito quali sono i luoghi d'eccellenza e quali (se è il caso di averne) gli incubatori... capita che attraversando questi spazi ci si chieda se mai i nostri amministratori si siano recati in visita in qualsiasi altro luogo destinato alla "cosa culturale" in Italia o in Europa... Ciò che manca nei nostri spazi è il decoro, il rigore, la costanza operativa, l'anima di ricerca... la coerenza di linea... Nonostante le pretese siamo una città del Sud per cui l'approssimazione può essere imputata al genius-loci, ma sarebbe un onta a quella capacità di rendere regali anche la più piccola e povera cosa che la cultura popolare di questa terra ha dimostrato di avere nei tempi trascorsi... Ma a che serve curar la nostalgia se il presente è smemorato e preferisce la mondanità dei vernissage che spesso non inaugurano nulla, che spesso non hanno occhi per comprendere che la precarietà non è valore e la bellezza ha bisogno di buon concime per farsi matura e certa...

sabato 15 giugno 2013

W il Barroccio, il Barroccio viva!

Una mattina al Barroccio in una foto di Roberto Pagliara

W il Barroccio, viva il piacere dell’incontro, viva l’informale nella vita che condisce l’attesa, il nulla, lo stare.
W solo per noi! Per chi sa di cosa scrivo, ché per gli altri è difficile sentire il cuore, osare con gli occhi, aprire le orecchie e stare, stare nell’ascolto di sè e degli altri.
Questo è stato in questa parentesi felice il Barroccio, il chiosco che abita all’inizio di quel boulevard ridisegnato - espiantando l’antico alberato di Pini marittimi - proprio per trasformarsi in un luogo di incontro e di socializzazione. Opera di Adriana Poli Bortone (e di alcuni dei suoi che ancora siedono a Palazzo Carafa) lei, loro sognavano (e ancora sognano) la città europea...
Lo ricordano gli amministratori?
No, certamente no, loro sono fatti per scordare, programmati nel breve termine mostrano continuamente di non avere una visione della città, di non amarla questa città e continuamente di tradirla nelle sue aspettative e nelle sue autonomie espressive.
Pensate: per “chiudere” il Barroccio si invoca una sorta di incompatibilità ambientale. Parlano di stile i solerti vigili urbani, che con raro zelo si votano alla causa della tutela ambientale e del rispetto dei beni architettonici senza alzare gli occhi e guardare poco più in là, per censurare (quello si che lo meriterebbe) l’orribile recinto che cinge ormai da mesi l’imbocco del largo dedicato a Angelo Rizzo, deturpando lo sfondo dell’Arco di Porta Napoli. Bazecole direte, ma sapete (certo lo sapete) quante se ne vedono in giro? L’elenco sarebbe interminabile, provate a guardarvi intorno... Ma che fare se la città che aspira a divenire Capitale della cultura nel 2019 preferisce il dettato del karaoke alla libera palestra dell’incontro artistico? C’è solo da far le valige e partire. Sarebbe un sollievo... ma meglio non concederlo questo sollievo agli invidiosi e agli incapaci. Meglio di no e tentare di risolvere insistendo con la Cultura quella che sperimenta l’incontro e lo calibra nell’altrove, nella ricerca, nella consonanza, nello stare, nel niente di una sera passata a conversare... W il Barroccio.
Soltanto viva!

giovedì 9 maggio 2013



Vent’anni fa moriva il Poeta di Caprarica

Oh Verri, che tu sia tarantato

L’impegno di oggi è quello di tentare una larga socializzazione
della sua opera di scrittore e di operatore culturale... 

La proposta: perchè non dedicargli l’edizione 2013
della Notte della Taranta?

Abbiamo cominciato già dall’inizio dell’anno a celebrare quello che abbiamo voluto chiamare Anno Verriano, per riattraversare la complessità dell’operare di Antonio Verri nel ventennale della sua scomparsa. Sinora abbiamo pubblicato nelle pagine del nostro giornale  contributi  su, di e con Antonio Verri.
Oggi, 9 maggio 2013, è il giorno della ricorrenza, il giorno della mancanza.
Noi, Antonio, continuiamo a sentirlo vivo, attraverso la sua scrittura e, in queste ultime settimane, attraverso le persone che da vivo lo sentivano fraternamente amico nell’operare. rilegendo le lettere  a lui rivolte che in questa pagina sono quotidianamente pubblicate a cura di Maurizio Nocera.
 *  *  *
Nei giorni scorsi una, di lettera, l’ho rivolta a Sergio Blasi e a Sergio Torsello chiedendo loro che l’edizione di quest’anno della Notte della Taranta fosse dedicata al Poeta di Caprarica. La rendo pubblica per spiegarne le ragioni:

Verriana
scritture, voci e suoni per ricordare un poeta

Abbiamo necessità di condividere un amore, quello per Antonio Leonardo Verri: una passione certa, consolidata in letture che ne confermano il valore ed un necessario nuovo transito di identità generazionale...
Per farlo abbiamo bisogno di uno sforzo grande e di un luogo grande per dare il giusto risalto a quella che riteniamo essere una delle figure centrali dell'identità culturale salentina e del nostro ultimo Novecento.
Un Novecento letterario e culturale che, in quell'artefice, ha trovato, e ancora trova, gambe per proiettarsi in questo nostro, nuovo, malandato Tempo.
Antonio Leonardo Verri è stato (e ancora è) “levatrice” di visioni e di sogni che affondando le radici nella gloria di Otranto, nella sua cultura di Terra e di Passioni, hanno potuto immaginare Guisnes la città - verriana - dove tutti i generi si mischiano divenendo "naviglio innocente", grossa lettera, unico corpo.
Il sogno del Declaro è adesso, è la macchina della memoria, è il PC.
Antonio Verri – il nostro tempo – il battito contemporaneo - l'ha solo presagito, l'ha raccontato per intero, mischiando lingue.
Le sue e quelle di quanti in lui si sono sentiti uno. Uniti in un agire che ha dettato le regole di un operare culturale ancora utile, anzi, ri-fondante di pratiche possibili nel presente.
Lui, è mancato prima, per farsi in noi "Profeta".
L'evento che immaginiamo possa essere attuato nella cornice del festival della Notte della Taranta  può avere varie dimensioni (si può, volendo, pensare (e facilmente realizzare) una mostra con materiale fotografico ed editoriale o un'opera multimediale che può accompagnare il festival... nelle sue tappe...
Si può immaginare, un atto di riepilogo di questo anno di ricordo all'ombra e nel rammarico dei vent'anni dalla scomparsa.
Oppure solo concertare un omaggio d'una sera, pensando però (oso!) di dedicare ad Antonio Verri (com'è stato in passato per altri interpreti della Terra Salentina) l'intero Festival dando il giusto risalto alla figura del Poeta e dell'Operatore Culturale con una nota in catalogo, la lettura di alcuni suoi versi in apertura del Concertone ed una serata a Lui dedicata con un recital e una conversazione...
Questa prima lettera può essere considerata un inizio di dialogo... per meglio "combinare" (parola di Verri questa...) la cosa...
In attesa di un vostro riscontro,
cari Saluti

Mauro Marino

*  *  *
Ecco quanto chiesto, una vetrina, e che vetrina, per far sentire e raccontare di AntonioVerri al Mondo...
Noi torneremo da domani a riproporlo da queste pagine (e prossimamente in un blog che le raccoglierà), ogni giorno per tutto l’anno o meglio per tutto il tempo che ci è dato...

mercoledì 8 maggio 2013

Lara Carrozzo, Più suono, da Lupo



La poesia suona, fa canto nel rimando del senso. Ce lo hanno insegnato a scuola prestando il gioco della rima alla banalizzazione della memoria. Oh!, quanta fatica spesa per tenere a mente dei versi, chissà perchè poi, per quale oscuro progetto educativo...
Oggi si usa la lettura a voce alta che è il vero destino dei versi, il luogo - quello della voce - dove rivivono per dare eco, continuità e vita a quella primaria esigenza e necessità espressiva che li ha dettati al poeta.
Lara Carrozzo  cerca e dona “Più suono” nella sua nuova raccolta di poesia edita da Lupo.
Il libro si apre con una citazione di Friedrich Nietzsche: “Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica”, era ed è così - è così sempre di più - nel nostro povero mondo perduto, stinto... svenduto... che ha dimenticato l’amore, l’amare e la necessità dell’altro, salvo poi immaginarlo proprietà ad uso e consumo del proprio sciatto e vuoto egoismo.
Non è il caso dei poeti, e Lara Carrozzo è poeta vera nell’inseguire e nel “raccontare” l’amore, l’amato, l’altro.
Ce lo dice indagando nelle “terre estetizzanti dell’io” mentre ne insegue il sebo,  tra i capelli, mentre lo chiama Dante o lo chiama nonna... il due, l’altro necessario, ciò che manca al Mondo. Alla sua piegata e piagnucolosa indifferenza...
A lei no, al poeta no e scrive: “Nella solitudine della scrittura/ avrei molti e molti/ ricordi da sfogliare,/ ma termino ogni volta/ che soggiunge l’incantesimo/ di una poesia reale:/ la nascita del “noi”.
La pausa del verso è nella gioia, lì dorme per incubare mancanza. Per sentirla graffiare in cerca di un “più”
*  *  *
Più suono” sarà presentato domani venerdì 10 maggio, alle 19.30, con la partecipazione di Giovanni Invitto, alla Feltrinelli point di Lecce.

sabato 4 maggio 2013

Le bagatelle di Lady Macbeth di Aldo Augieri per Asfalto Teatro

Il teatro salva gli occhi in questo tempo oscuro. Sempre lì, la parola suona libera, al riparo e l'attore pare tornare al tempo dell'origine quando da hypocritès (che in greco antico significava "colui che risponde") poteva dire, e dire, e dire.
*  *  *
Una frase tra le molte sentite  in "Le bagatelle di Lady Macbeth" - che un ormai rodatissimo Asfalto Teatro ha portato in scena sulle tavole dei Cantieri Teatrali Koreja lo scorso 31 marzo – una frase, m'è rimasta a suonare dentro per l'intero giorno dopo (e ancora adesso): "Il bello diventa brutto e il brutto diventa bello".
Il fatto è, che il giorno dopo, il 1° maggio, ho scelto di trascorrerlo a Taranto, la meravigliosa Taranto, dove appunto ciò che era bello pare sia diventato irrimediabilmente brutto anche se la città – nonostante tutto - mantenga una sua profonda dignità.
L'Ilva, sullo sfondo, con i suoi carichi di veleni, ma più ancora la ferita che si mostra  traversando il centro storico, l'isola di là dal ponte girevole.
E Lady Macbeth pare prendere le sembianze di quella politica - che chissà quanti misfatti a suggerito alle orecchie dei suoi Macbeth, esecutori di crimini che certo lasciano liberi fantasmi e ossessioni, ombre e paure.
Macbeth, ha ucciso il sogno, non dormirà più, come non dormiremo mai più noi, presi dal giogo mai germinante di una guerra diventata sottile, pulita anche, ma intatta nel suo produrre morte.
Non è guerra quella che ogni giorno i grandi finanzieri consumano a danno dei più?
Non è guerra?
*  *  *
Aldo Augieri sa come fare, con e attraverso i suoi attori, ad evocare la contemporaneità in giochi che attraverso la parodia portano a fondo l'attacco al sistema ben pensante...
Atti di calabritissima anarchia, perciò esatti, scientifici, producono il suo Teatro, che è proprio Teatro, se pensiamo alla costruzione scenica come attivazione di una macchineria che può osare (e osa) anche oltre l'attore.
Una macchineria che va a pescare anche nell'antico modulo rotante per il cambio scena, o nell'aprirsi e chiudersi del sipario (elemento essenziale nelle scritture di Augieri) anche su scene brevi ma di grande impegno scenografico come nell'episodio che ritrare – ne le Bagatelle - la Lady nella penombra della sua camera da letto.
Molta cura negli abiti di scena, negli oggetti e nelle maschere, una puntigliosità che tocca quasi ossessioni orientali muovendo sistemi segnici che incantano e disincantano col venire della musica.  Delizioso nelle Bagatelle il voltar pagina segnato da stranite arie francesi...
Un artificiosità virtuosa che è trasferita anche nei e sui corpi degli attori resi al limite caricaturale. In scena abbiamo visto con lo stesso Augieri che fa la Lady, Totò Del Popolo che è Macbeth, Davide Morgagni che è Duncan e una stralunata Margherita Manco impegnata sulla linea del sipario, a mischiare le lingue e a ubriacare la speranza...
Maschere attive di una drammaturgia che nulla risparmia. La lezione beniana – ma non solo quella – è ben digerita affianco ad attraversamenti letterari capaci di fondere e reciprocamente suggerire come in questo caso, dove Shakespeare e Cèline dialogano e insieme graffiano.
C'è il piacere del testo nel teatro di Aldo Augieri, la catena delle parole è la virtù che da "fuoco all'anima, vibrando, come nel vero teatro" così qualcuno dice in scena.  E così crediamo sia, anche noi!
Una scena che osa, quella di Asfalto teatro - storicamente ormai - nella generosa scena salentina - profondamente osa traversando la classicità, con le radici ben piantate in una tradizione che profonda appartiene al Teatro e all’intera sua cultura.

martedì 30 aprile 2013

"Bocche di dama", molto di più di uno studio

Quante voci abitano nel sentire di un attore? Tante quante il suo pensiero ne corre, “immaginandole” e basta un piccolo cenno a condurre nel cambio, nell’intesa del personaggio. E così, le storie prendono forma, anzi corpo e le drammaturgie trovano svolgimento come nelle pagine di un libro posto davanti a noi che, a “bocca aperta”, siamo chiamati ad assistere al prodigio che sul palcoscenico prende vita. Ogni volta così, lo stare al cospetto di quella linea.
La storia che “Bocche di dama” ci racconta, è doppia, lo spettacolo, al suo debutto come studio, è andato in scena al Teatro Paisiello domenica 29 aprile, a chiusura della stagione teatrale dell’Amministrazione Comunale di Lecce diretta da Carla Guido, che ha dedicato il ciclo di Teatro a 99 centesimi alla fiorente e fiorita scena locale.
*  *  *
In apertura, il déshabillé di una sposa, presa nel da fare dei preparativi delle nozze con l'ansia di rigore placata con una, due, tre... quattro bustine di camomilla e... tranquillante, nella minestra del papà. Poi, la sequela di tutto ciò che era in uso al tempo in cui la narrazione trova ambiente: gli anni Cinquanta introdotti da un mambo accennato dalle melodie percussive di Vito De Lorenzi che accompagna le coloriture sceniche e i toni di Angela De Gaetano che in questo spettacolo – interamente suo – si conferma straordinaria attrice, ma anche fine drammaturga e accorta regista.
Un pretesto narrativo – quello delle nozze - che diventa storia.
Un’altra storia: il segreto che la signorina Doriana, l’acconciatrice, ha conservato per l’ultima sposa che avrebbe pettinato. E, dal sorriso, si apre la strada al “pianto”.
A prendere “pagina” è il blu di un nastro. Apparteneva a Mariuccia, la figlia di Donna Teresa e di Don Leo barbiere, usuraio e uomo di violenza, condannato ad avere intorno solo figlie femmine; per la rabbia, quando non la scontava su di loro, andava a sparare contro il mare….
A far da scena Lecce, la città popolare che non c’è più, quella che aveva ancora la fontana con i cavalli alati in Piazza Duomo a far da cornice ai “primi amori” e aveva cuore sotto la tettoia liberty del mercato, la “chiazza cuperta”, che rivive nei frame d’immagini che Angela De Gaetano ricostruisce con le variazioni di ritmo e d’intonazione della voce. Tic, movenze, storpiature di linguaggio plasmano l’ambiente e i personaggi che lo abitano.
E le senti le urla rimbalzare tra i grandi banchi. Erano di marmo chiaro, pregni di odori, esponevano le merci, tutte le merci del Salento, a Km 0, quando il Km 0 non era ideologico come ora. Oggi, quel mercato sarebbe una ricchezza per la città turistica, il valore aggiunto di quella tradizione eno-gastonomica divenuta “spaccio” esclusivo, cosa d’elite in mano agli chef, lontana dal popolo a dalle sue grida e dalle sue voglie.
Tra i banchi quello te lu Pippi Zeppu e de l'Annina delle cozze (i nonni a cui l'attrice – con l'intero spettacolo – ci pare rendere omaggio) e quello te lu Mozzeca... il fischio di Franco Pallina, da il “ciak” all'azione che introduce la figura del “Signor Don Sindaco”.
Momenti di intensità, di grande ilarità tenuti sapientemente sul filo, sospensioni che calibrano il divenire narrativo continuante introducendo personaggi, somma di un popolo e di una nostalgia.... fino ad arrivare ad immaginare gli angeli dipinti in cima al palazzo della “Torinese” (così si chiamava un tempo la grande dimora che è di fronte al Cinema Massimo) che rubano il prezzemolo nel giorno delle nozze del figlio del sindaco con la figlia del cravattaro-barbiere... 
Non Mariuccia però - la costretta-promessa - a lei tocca un altro destino...  ed è l'amore a muovere il racconto – il centro po-etico dello spettacolo. Un amore di quelli che quando  inizia e non sai come chiamarlo. Uno sfioramento, un ballo, un bacio. Il sogno-necessità  della fuga,  la libertà per quello che gli altri considerano il difettuccio. Ed un altro limine prospetta Angela De Gaetano col suo narrare, un confine da contemplare, avvertito da una distanza costruita con una sedia, a fare un davanzale, da cui s'affaccia prefigurando il di fronte di una terrazza dove Agata invano, accoglie.
Uno svolgimento ed un epilogo sorprendente quello di questo “cunto” che Angela De Gaetano porta al pubblico con sapienza e fine “esattezza” attoriale in quello che si dimostra essere   molto di più di uno “studio”.