giovedì 2 febbraio 2012

Piccoli profughi, "tenero" libro
























Venerdì 3 febbraio, alle 18.30, si presenta anche a Nardò, alla Stazione Ics in via Sindaco Manieri, il libro “Piccoli Profughi. Narrazioni di esclusioni e accoglienze”, con gli autori Partecipano, oltre agli autori, il Sindaco di Nardò, Marcello Risi e la docente di Letteratura albanese dell’Università del Salento, Monica Genesin

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Capita che un "oggetto" sia immediato portatore di "tenerezza". Qui, non si tratta di "vezzeggiare", qui, la "tenerezza" è cosa concreta: seme di incontri e di relazioni che maturano nella pratica del dialogo e dell'accogliersi.
La "tenerezza" sta nell'oggetto e nelle soggettività che fanno il libro. Già, il libro. È quello il testimone che giunge a noi. La "tenerazza" la trovi nella sua accurata confezione e la trovi tra i righi, che se li tocchi vengono in rilievo, come per le antiche stampe fatte con le inchiostrature dei piombi. La "tenerezza" dico, viene fuori, confusa a quelle parole e come atto generativo di quelle parole, atto che sta prima, anche prima del desiderio, nella natura stessa di chi vuol farsi protagonista di una storia. In chi da "uno" vuol farsi "due", e l'io farlo diventare un noi. Un noi largo, corale che tesse scritture e sapienze, differenti negli umori, nelle tensioni, nelle aspettative, ma capaci di trovare attraverso la "tenerezza" il viatico per l'"unità", il progetto, l'opera: il libro...
È persa l'abitudine a considerare la "manifattura", la si crede cosa superflua. Cosa scontata la manualità, l'artigianalità. Cosa scontata il lavoro... Non è così. Non deve essere così! Cos'è che giunge nelle nostre mani? Perche è prezioso un libro, questo libro? Perchè in esso c'è cura. Molta cura, amore anche! Perchè in esso è contenuto un atto necessario ed è capace d'essere libro oltre la consuetudine del libro. Tenero, nella coperta di un "bel blu", col segno del pesce e le finiture grafiche che lo segnano, attraversandolo. Ecco allora che Oistros si presenta (dopo una bella edizione dedicata ai versi del giovane Carmelo Bene che ho avuto solo per pochissimo tra le mani) con questa capacità di ideazione e di "confezione", progetto altro che nella piega dell'industria sceglie le "mani".
Il libro è “Piccoli Profughi. Narrazioni di esclusioni e accoglienze”, dedicato "alla memoria di chi abita i cimiteri del mare" è firmato da Alessandro Santoro insegnante precario e regista votato al teatro sociale e da Edison Duraj, piccolo profugo albanese, sbarcato da un gommone sulle coste del Salento a 9 anni. Con loro tanti altri "facitori" quelli d'arte (Antonio Rollo autore del progetto grafico con gli illustratori Martin Petrič - che è anche tipografo!!! - e Grazia Tagliente) e quelli di scritture (Francesca Santoro, Luigi A. Santoro, Beatrice Chiantera, Mario Balsamo).
Dopo il "debutto" di venerdì 27 gennaio, ai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, questo secondo appuntamento di presentazione dell'esperienza, fa sosta alla Stazione Ics, che rappresenta per Nardò il punto di partenza e di transito per una nuova stagione culturale e che sembra il luogo ideale per accogliere le due voci che dialogano per dodici capitoli i cui titoli sembrano ispirati a quelli del Don Chisciotte di Cervantes.
Un viaggio tra le sponde dell'adriatico, ma no solo! Tutto in "Piccoli Profughi" ha una densità diversa, altra, dicevo prima, di riamndi, di sponde che si toccano... Di "tenerezza". Cos'è accogliere la voce di chi non c'è più? Portarla, renderla ancora voce, attraverso i dubbi, le interrogazioni, le paure... leggiamo da una nota che presenta il libro e l'"editore":«Come nel testo cervantiano, anche in Piccoli Profughi le storie dei protagonisti si aprono per far entrare narrazioni di altri autori; persone coinvolte nelle vicende di Edison e Alessandro, ma anche protagonisti d’interventi culturali o sociali che hanno inciso profondamente sul destino del Salento. La nuova casa editrice Oistros è nata prima di tutto per rendere leggibili le tracce del lavoro dell’Oistros nel teatro, nel processo d’integrazione dei diversi, nella riscoperta delle culture del territorio. Il gruppo fondato da Gino Santoro, su sollecitazione di Sandro D’Amico e con la guida di Giorgio Pressburger, oltre quaranta anni fa, ha svolto in questi anni un prezioso lavoro di raccordo tra la ricerca accademica e il lavoro sul campo. Basti pensare al progetto “Teatro in un territorio senza teatro” realizzato insieme all’Odin Teatret a Carpignano Salentino da giugno a ottobre del 1974 o a “Il ragno del dio che danza” da aprile a ottobre del 1981».
Momenti fondanti, di semina di quello che oggi siamo! Buona lettura!

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