mercoledì 29 febbraio 2012

Il mio nome è Rossella Urru





Rossella Urru











Dalle piazze al web: cresce la mobilitazione per chiedere la liberazione di Rossella Urru, la giovane cooperante italiana rapita oltre 4 mesi fa in Algeria. Oggi, 29 febbraio c'è il "blogging day": molti blogger italiani hanno scritto un post per diffondere sempre più la sensibilizzazione attorno al sequestro. Rossella Urru è una ragazza sarda di 29 anni, precisamente di Samugheo, partita lontano da casa come tanti giovani per seguire i suoi studi universitari. Dopo la laurea a pieni voti in Relazioni Internazionali, ha continuato a coltivare la sua passione fino a decidere di partire per l’Algeria per aiutare quel popolo che ha tanto a cuore e su cui ha scritto la sua tesi di laurea, per poter dimostrare fattivamente il suo impegno umano. Da due anni è la coordinatrice dei campi dei rifugiati Saharawi per il CISP (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli), un punto di riferimento per tutti laggiù, ma anche per chi la aspetta dal piccolo paesino del Mandrolisai. E' stata rapita il 23 ottobre 2011 nel campo profughi di Hassi Raduni. Particolare è questo scritto dedicato a Rossella Urru dalla blogger Tiziana D'Errico, taggato su facebook da Daniela Montinaro e tratto da "Quando arriva il vento", Skoop.it

Il mio nome è Rossella Urru
Tiziana D'Errico

"Siete mai stati nel deserto? La notte, nel deserto, le stelle sono di più che in ogni altro posto nel mondo. Sono più vicine. Sono un manto. Una coperta. Un tappeto su cui volare. Amo il deserto. Amo la sabbia e il suo cancellare i confini. Non ci sono delimitazioni vere nel Sahara. Non si possono erigere cancelli in un posto in cui non si vede il finire della terra. Sono qui adesso. In un punto indefinito. In un posto indefinito. Qui dove gli occhi dei bambini sono neri, profondi. Occhi rivolti al mondo che li ignora. Occhi che regalano un sorriso a chi li voglia guardare veramente. Io sono qui. Sono venuta ad offrire il mio aiuto. Sono venuta ad insegnare a costruire un mondo libero, autonomo. Libertà. Ciò che ho portato come esperienza in questa terra è ciò di cui ora sono priva.
Io non sono libera. Ora. La mia nuova condizione ha un tempo. Un'età. Quattro mesi. Centoventi giorni. Sembra un tempo breve quando hai mille cose da fare. Quando sei libero di studiare, uscire, mangiare, correre, prendere un caffé con un'amica, ridere, giocare, parlare al telefono, fare compere, litigare, dormire, lavorare, oziare. Un tempo breve. Quando sei libero. Un battito di ciglia in una vita intera. Quando sei libero. Quando pensi al tempo come concetto fluido. Quando ti sembra di averne in quantità infinita a tua disposizione. Ma io non sono libera.
E il mio tempo non è più mio. Ora penso che quattro mesi sono un tempo lungo. Lunghissimo. E mi domando come sarà cambiato ciò che conosco, da quando non sono più libera. In quattro mesi un bambino nel ventre della madre è già del tutto formato. Il suo cuore batte al ritmo di centoventi battiti al minuto. Centoventi come i giorni che ha la mia vita non libera. Quattro mesi sono un tempo lungo. Lunghissimo. Un tempo in cui una nuova vita nasce, cresce, si completa. Lo so adesso. Adesso che mi domando chi mi renderà la libertà che portavo nelle mie valige venendo in questa terra gialla. Adesso che mi domando se qualcuno dalla mia di terra sta urlando il mio nome.
Mi chiamo Rossella Urru. Sono stata rapita perché insegno la libertà".
Quando ho pensato a ciò che avrei potuto scrivere sono stata un po' presa dal timore di urtare la sensibilità di chi Rossella ama. Di interferire con meccanismi delicati: chi negozia vorrebbe tenere l'attenzione mediatica il più low-profile possibile. Raccontare in modo didascalico però non fa per me. Non ne sono capace. Io sento le cose che scrivo. E scrivere di questa minuta e coraggiosa ragazza è stato difficile. Più andavo avanti più mi domandavo perché mai in pochi fossero a conoscenza della sua storia. Più andavo avanti e più non capivo il perché. Non lo capisco tutt'ora. Sarà vero che si agisca così nel tentativo di non rafforzare le posizioni dei rapitori? Sarà vero che il tentativo dei media sia quello di farla divenire un simbolo? E ancora sarà vero che questo possa essere dannoso per la sua condizione? E se è vero che spesso i simboli diventano martiri, bisogna fare in modo che questa volta non sia così. Mi pongo queste domande da ieri e mi dibatto alla ricerca di una ragione valida per non pubblicare questo post. Ragione che, in tutta sincerità, non riesco a trovare. Oggi qualcuno mi ha detto che questo gesto serve solo a garantire solidarietà ma non aiuto. Io non so se sia così. So che il silenzio che ha avvolto questa vicenda sta diventando più assordante delle sirene di Ulisse. So solo che se non ti ascolta nessuno può essere per due ragioni: hai sbagliato interlocutore oppure parli troppo sottovoce. Per educazione. Ho scelto di non essere educata stanotte. Ho scelto di alzare la voce. Ho scelto di dare la mia voce a chi ora non può far sentire la sua. Ho scelto di rompere il silenzio. Il silenzio è la quiete della notte. E' la vita che si ferma. E non è ciò che voglio. Se il silenzio si rompe urlando, allora io urlo. Sarà la mia una voce tra mille, oppure una voce nel vuoto. Ma la dono a chi ne ha bisogno. Ora.
Un grido d’aiuto il mio anche per: Maria Sandra Mariani rapita il 02 febbraio 2011 e
per l’equipaggio della motonave Enrico Ievoli: 6 italiani, 5 ucraini e 7 indiani. Sequestrati dai pirati nell’Oceano Indiano il 28 dicembre 2011. Franco Lamolinara rapito il 12 maggio del 2011 e Giovanni Loporto non libero dal 19 gennaio 2012.

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