martedì 29 maggio 2012

Terremoto


San Felice sul Panaro

Francesca Speranza mi manda un sms: "Vuoi delle immagini dal terremoto?". Lei è "esule" a Mantova, nomade con le sue macchine fotografiche e con la sua passione. Le dico di sì, mi ha inviato un pò di "geipeg". La prossimità del suo sguardo mi fa guardar meglio in ciò che non vorrei dover guardare. E allora, vedere quei mattoni rossi venuti giù fa impressione. Tante volte camminado per le strade della sempre decorosa Emilia mi sono interrogato su quei mattoni, su quei piccoli parallelepipedi di terracotta, un fare antico che ha saputo attraversare la storia. Diversi dai nostri tufi. Materia asciutta, compatta, dura che ha disegnato la sobria armonia di costruzioni che sembrano fatte con i pezzi di un "Lego". Ma, la cosa che impressiona di più è quell'altro materiale da "Lego", quello dei grandi capannoni industriali rovinati a terra schiacciando chi dentro lavorava. E senti lingue straniere che li ricordano. Omaggio alla fabbrica e al lavoro! E nella fabbrica e per il lavoro loro son morti.

lunedì 28 maggio 2012

Cambiar strada

Odore di pane ieri mattina sulla strada che cambia la mia consuetudine. Un bambino indiano corre verso la scuola, il suo papà lo guarda da lontano e sorride. La signora mi chiede se può attraversare. Una scritta recita: "Il Mondo è strano". Tutti doni! Si fa omaggio all'abitudine, tradendola. Misteri del cambiar strada, lo farò ogni mattina adesso un esercizio utile per sentirsi vivi, per rinnovare l'attenzione, per tener desta la capacità di ascoltare la città. Questo serve, questo servirebbe per far leva al cambiamento. Ah, provarlo ognuno di noi l'abbandono: scordarsi, tentare e nel tentativo, trovare le chiavi di un’altra vita, di un'altra possibilità. Questo vento odora, adesso porta gelsomini, v'accorgete?  C'era un vecchio contadino che prima d'avviasi si puliva ben bene il naso: era importante prepararlo ché giunto alla svolta i profumi eran tutto. Solo quelli servivano a rimpir la giornata d'ottimismo. Beato, beato lui col suo poco.

Franco Arminio. Cose del giorno dopo

Cronache culturali Lo scorso sabato 26 maggio, è stato ospite del Fondo Verri di Lecce il poeta e scrittore Franco Arminio
Essere Comunità
Francesco APRILE

Portare l’attenzione sulla sofferenza, sul dolore, distogliere lo sguardo da ciò che oggi ci ricopre, spezzare la maschera attoriale per non sopprimerci, da noi, nel gioco di una rappresentazione sociale che astrae, distrae, scuce e distrugge. Oggi, le cose ci scivolano addosso, quelle delle nostre necessità che scartiamo via come prodotti ormai scaduti, per rifugiarci nel comfort sempre troppo facile dell’apparenza frivola.
È l’attenzione che Franco Arminio, poeta-paesologo ospite del Fondo Verri di Lecce nella serata di sabato 26 maggio, chiede e crea, porta sulla scena di una rappresentazione che mossa nella tessitura del dialogo comune, del confronto, si muove, s’agita, esce dai canoni dell’uso quotidiano del linguaggio per affrancarsi, per concimarsi alle necessità che oggi via via si perdono.
Cerca la parola comunità, Arminio, e la ricerca nella continua tessitura, accompagnato nel dialogo da Mauro Marino che del Fondo Verri, assieme a Piero Rapanà, ha fatto negli anni spazio di confronto e apertura costante. Ci sono versi in calce che sanno ascoltare l’aria come un volo di rondine apre ali e libera pensiero. Quello di Arminio è un dialogo costante, intenso, con la parola che non è mai slegata da un contesto, avulsa, contorta o svuotata di senso, ma, anzi, è nel contesto che si crea e alimenta la fiamma dell’impegno, perché è impegno la poesia; ha da raccontare un vissuto quotidiano che sposta l’occhio dalle grandi narrazioni e si concentra sul vivere, su quelle necessità che per forza di cose guardano in faccia le sofferenze, il dolore, la morte e da queste si rafforzano, sanno crescere e mescere spartiti diversi, lontananze che nella necessità, appunto, sanno ritrovarsi come vicine; perché è in ciò che è comune agli uomini che la vita muove, e ciò che è comune è agli uomini universale.
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Dice d’aver iniziato ad entrare in Lecce e la sua realtà soltanto ora, dopo esserci già stato due o tre volte prima d’oggi. Prima, dice, la città gli era scivolata addosso, ne aveva visto il barocco, i monumenti, ma gli era scivolata addosso, perché di un luogo bisogna sentirne il respiro, il passo, l’incedere quotidiano dell’uomo e della natura dei posti. Ha capito che come molti Sud c’è qualcosa che tende a trascinare tutto con sé, verso il basso, verso la mortificazione delle risorse, della creatività che s’affanna a vivere dove la visione politica è troppo spesso accorta a soluzioni proprie di un modernismo improvvisato. Ma c’è qualcosa che nelle sue parole mi riporta alla mente altre parole, altri impegni, altre dimensioni.
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Lo ascolto, ne leggo le parole, lo spazio che occupa la morte e la dimensione del dolore, la possibilità di esserci e progredire nella sofferenza e nelle piccole cose, nel quotidiano, nell’aprirsi ad una dimensione propriamente umana che possa designare, anche, una vita migliore, a dimensioni etiche che liberano l’uomo dal timore che, accompagnato da tutto un sistema di sovrastrutture, lo porta a scartare, ad allontanarsi dal fare i conti con l’inevitabile corso della vita per rifugiarsi nella pallida, ma semplice e fugace, coperta della rappresentazione di un liguaggio-uomo-feticcio.
E penso che sia nella necessità del tornare ad essere uomini che ascoltano lo spazio che li circonda, che se ne nutrono, e questo traducono in esperienza di vita, che si realizza l’universalità-comune della pratica poetica di Arminio, che in quel suo affrontare il dolore, per sempre continuare a costruire, mi sembra vicino ad altre parole, altre dimensioni, altri impegni che in questi posti al sud hanno imbastito parole sulle necessità quotidiane.
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Penso a Salvatore Toma, al nome da scrivere su una croce per uscire “per strada a guardare la gente con occhi diversi”, penso a quel tuffo che in quelle parole si compie con in faccia la crudezza di un approccio che senza mezzi termini apre l’uomo al mondo, restituendolo alla sua appartenenza. Trovo questo in Arminio, un tornare dell’uomo al mondo, ad appartenere ad esso, esser parte dell’esistenza, per non giocare ancora a trarre in ostaggio il mondo e violentarlo con l’ineffabile dei nostri bisogni da messinscena televisiva.

venerdì 25 maggio 2012

Fondo Verri
Presidio del libro di Lecce
stagione primavera 2012

Iniziativa promossa dalla Regione Puglia - Assessorato al Mediterraneo
in collaborazione con l' Associazione Presìdi del libro

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Sabato 26 maggio, alle 19.30
Franco Arminio al Fondo Verri

La copertina di Terracarne - Mondadori

Domani, sabato 26 maggio, alle 19.30, Franco Arminio, sarà al Fondo Verri.
Al suo “Terracarne” edito da Mondadori è stato assegnato il Premio Carlo Levi 2012. Armino è stato ospite la settimana scorsa a Miggiano e a Montesano per un workshop sulla Paesologia nell'ambito di “Salento Creativo”. Di seguito l'articolo di Franco Arminio per "il Paese nuovo" di giovedì 24 u.s.:

Invito il Salento alla sagra del futuro
Franco ARMINIO

Lo so, è tutto fragile, confuso. La salute morale facilmente si dissesta, il disincanto è più forte dell’incanto, le meraviglie di un giorno non si replicano il giorno dopo.
Parlando coi ragazzi che a Miggiano hanno frequentato un breve corso di paesologia, ho sentito con forza che nel sud c’è una grande capacità di manipolazione simbolica, di astrazione, e nello stesso tempo c’è un cuore conviviale, un’economia della generosità. Da qui bisogna partire ogni giorno, dall’idea che non è Milano la cosa che ci manca, ma siamo noi la cosa che manca a Milano.
Il Salento deve lavorare sui dettagli. Qui più che altrove l’essenziale c’è già. Te lo dà la taranta su una spalla, il sole in testa, il mare in gola, le case di calce, i palazzi di tufo, la pietra dolce delle chiese, i campanili di sughero, lo zucchero filato dei balconi. Terra scoperta, penisola limata dal vento e dalla luce, terra senza tegole, senza montagne e senza colline, dove la modernità convive con un fiato di magia. Sono arrivato coi nervi aggrovigliati e il cuore scuro, sono tornato a casa coi nervi ben distesi e il cuore più chiaro. Il Salento, almeno per chi viene da fuori, è una grande farmacia: la farmacia del mare, degli orti e degli ulivi, della luce.
Il sud irpino, il sud in cui vivo, è un frammento del polo incastonato nell’Appennino. Un sud scontroso, iroso, diffidente. Veniamo dalla stessa civiltà contadina, ma con un altro clima, con un’altra geografia. Non abbiamo intorno a noi la cintura epica del mare, abbiamo una terra mossa, agitata, rigata da un vento spinoso. Per me è difficile capire come fila la vita quotidiana salentina nella sua lunga stagione estiva. Da noi l’estate è una breve apparizione. I paesi sono lontani e devi fare sempre tante curve per trovarli. In certi posti l’unica pianura è il palmo della mano.
Il Salento è un’altra storia, non posso pensare di conoscerla passandoci dentro per qualche giorno. Quello che so è che mi fa bene. Al punto che mi fa perdere pure le parole (sono rimasto muto per tre ore su uno scoglio a Novaglie), perché le parole vengono più facilmente nei luoghi che infiammano i nervi, nei luoghi in cui sento solo avarizia e sfinimento.
So che anche qui il sud ha i suoi capannoni, i suoi silos dove raccoglie accidie e rancori. Ho visto coi miei occhi la campagna piena di rifiuti e so che quelli a vista sono ben poca cosa rispetto a quelli che hanno buttato nelle cave.
So che la classe politica di questi luoghi pensa ancora
ad infilarsi nei caselli dello sviluppismo, in un momento in cui bisognerebbe uscire dalla carreggiata, fare sentieri nuovi, impensati, piuttosto che allungare il collo di bitume al cieco bisonte della modernità.
Domenica scorsa ho incontrato molte persone che si battono contro una strada che dovrebbe trafiggere come una spada il Capo di Leuca. A un certo punto abbiamo trovato una grande pietra su cui una volta si batteva il grano. Ci siamo seduti ai bordi di questa pietra e abbiamo fatto silenzio e il silenzio ci ha fatto sentire tante cose di noi stessi e di quello che c’è fuori. Io ho visto le formiche sulla pietra, ho pensato alla malattia di mia madre, ho avvertito il sincero ardore dei miei compagni di passeggiata. Tante persone venute a dire no a una strada inutile, tante persone animate da una militanza  mite, capace di contestare ma anche di ammirare, una militanza in cui la voglia di cambiare il mondo non ti fa bendare lo sguardo a quello che c’è intorno, che comunque è sempre tanto e spesso è mirabile.
A me pare che oggi siamo chiamati a percepire più che a spacciare opinioni. E mi pare che la Terra ci chieda di essere guardata, ci chieda di non essere caricata come un asino.
Nel Salento più che altrove l’utopia meridiana può essere tagliata con lo scrupolo nordico (come avviene nella bella masseria che mi ha ospitato, gestita da una coppia del nord). Il sud non si salva assolvendosi, ribaltando cioè la sua antica vena vittimistica che ha ricevuto un notevole impulso dalla vicende funeste che portarono all’unità d’Italia. Abbiamo bisogno di guardare come siamo, abbiamo bisogno di congedarci dalla modernità incivile con cui abbiamo rottamato la civiltà contadina. È un bisogno che non deve riportare indietro il nostro sguardo, ma avanti. In fondo c’è una sola sagra che va bene per ogni luogo, la sagra del futuro.

(da il Paese nuovo - pag 19 di giovedì 24 maggio)

martedì 22 maggio 2012

Una danza per Melissa


Come una danza, un rito antico. Ascolto la radio, qualcuno racconta da Brindisi: “Le ragazze sono in classe al Morvillo-Falcone! E' difficile per loro star li. Difficile riprendere la normalità, brucia ancora la “ferita” e sarà difficile rimarginarla. L’inquietudine le abita. Sabato 19 è così vicino e poi, i giorni del dopo, l'emozione del saluto. Piangono, si abbracciano. Da fuori arriva un corteo di altri ragazzi. Altri studenti, anche in loro, abita l’iquietudine. Lanciano slogan! E’ come un richiamo, le ragazze abbandonano le aule del Morvillo-Falcone, gli insegnanti tentano di fermarle, minacciano una nota, ma non importa”. Il cronista continua a raccontare: “Le ragazze in strada si schierano di fronte ai loro pari che son li a portare solidarietà”. E' come una danza come un rito antico! Una catarsi, fatta di facce tese, un confronto acceso che osa la riconquista dello spazio naturale, dell’età. La scuola, il muretto degli incontri ancora annerito dallo scoppio. La vita...

lunedì 21 maggio 2012

Nel bianco

Racconti, racconti neri, tutti neri quelli che capita sentire: sabato 19 maggio è stato un giorno cruciale per questo Salento sempre pronto a dimenticare il "nero". La macchia stinge volentieri bruciata dal sole e allora, inutile pensarci. “Non è stata la Scu” dice qualcuno. L’involuzione "corleonese" - politica - della quarta mafia, è scongiurata, possiamo tirare un sospiro di sollievo e quel «Speriamo che non sia il primo di una serie» riferito a caldo da un magistrato a poche ore dall'atto criminale del Morvillo-Falcone possiamo dire sia definitivamente archiviato: la Scu, è "buona". Qualcuno sussurra – ma forse è leggenda da bar - che, nel corso di una perquisizione, un boss rivolgendosi agli agenti abbia detto: "Ma vi pare... Noi non c'entriamo e se lo troviamo l'infame saremmo ben felici di consegnarlo". Già, così si usa! Perfetto codice d'onore, quello che nel romanzo giornalistico è fatto di complimenti, di bon ton quando non c'è guerra e certe volte anche quando la guerra c'è. Quello che il sole non può stingere è il bianco della bara che si porta via Melissa. Noi siamo con lei! Siamo in quel bianco...

sabato 19 maggio 2012

Scu, terrorismo alla corleonese?

"Piccola mia ti amo" è scritto sul muro della "ferita". Le ragazze del "Morvillo-Falcone" avevano vinto un concorso con l'immagine dei loro sguardi che sfidava l'ombra e la paura: "Guardateci negli occhi" così si rivolgevano ai mafiosi, ai vigliacchi, a chi non osa mai farsi vedere e agisce nello scuro, nell'angolo storto della vita, dove la speranza annega...
Possibile possano essere stati i "nipotini" dei boss in carcere della Sacra Corona Unita? Inimaginabile, non è mai successo, gli "scoppi" la Scu li ha sempre usati per intimorire, come avvertimento, come monito estorsivo, non è mai andata oltre. Eppure, la pista di un salto di qualità "corleonese" di una criminalità, che sino a ieri non aveva mai conclamato un'operatività terrorista, è tra le ipotesi al vaglio.
La più plausibile, Nichi Vendola ha parlato di un "corpo a corpo" in atto con la criminalità organizzata. Perchè questo è, cos'altro se no? Mettere un ordigno davanti ad una scuola, sistemare un innesco, collegarlo ad un timer, azionare un telecomando è una scelta. La Scu, se la Scu è stata, si presenta sulla scena criminale tentando l'unicità dell'orrore: una strage combinata contro una scuola di ragazze.
Un atto di crudeltà e, il "muretto" degli incontri prima della campanella, si trasforma nella trappola che chiude la vita, quella di Melissa Bassi, quella di Veronica Capodieci che combatte per sopravvivere, quella delle altre, per sempre custodi del ricordo e dello strazio.
Una mattina e la spensieratezza che abita l'animo dei nostri ragazzi - abituati a "giocar sempre",  così ti appaiono, se li guardi per strada presi dalla stravaganza dei loro look ispirati all'apparire al disimpegno – svanisce! Perchè scegliere i ragazzi allora? La carovana antimafia riguarda loro, l'intento di sensibilizzazione e di coinvolgimento è rivolto a loro. Un altro educare si spera, una responsabilizzazione che sia leva di un diverso fondarsi delle comunità... A questo lavora Libera.
Loro, i ragazzi, sono la speranza. Una speranza che, evidentemente, fa paura.
Ma altre ipotesi sono sotto la lente di chi indaga.
La pista anarchica? S’indaga, qualcuno chiama in campo la Grecia... No, non può essere, non posso credere che nella mira insurrezionalista possa esserci una scuola di ragazze.
Che altro rimane? Il pensiero corre alla misoginia di alcuni: l'atto di un folle mosso dall'odio verso le donne? Quell'odio che ogni giorno piega il sentire del femminile al comando di una società fondata sul predominio e su controllo maschile... Quella società, che al suo "estremo" di comando, ispira la mafia, il nascondimento, l'ombra, ogni massoneria, ogni consorteria che per essere ha bisogno di alimentare l'orrore...

venerdì 18 maggio 2012

Lu Papa Ricky

Faccio voto d'astinenza, ma non cose di maniera, astinenza vera, dalla rabbia. Le ferite del cuore sempre rinnovano la stretta e di rabbia se ne cova tanta ogni giorno, tanta la cattiveria intorno, mellifua fa gli occhi belli oppure inforca occhiali di puntiglio, meglio non curarsene e cantarsela come fa il caro Riccardo Povero. Lu Papa Ricky da ieri è sulla scena musicale della prolifica Puglia con un bellissimo lavoro edito da Elianto, cose di "veterani" del raggamuffin di casa nostra. Cose di qualità, prodotte nell'incontro e nella necessità del coro. Un lavoro importante dove si può ascoltare ottima "sincopata" poesia. Mi piace "'Mparame", ma ancora meglio "C'è chi cambia" – brani poggiati sulle capaci tessiture di un genio del melodico-ragga che sempre s'innamora e, il suo essere "massiccio", lo declina nel pacifico dello stile lovers, nella gioia di stare ancora nel salto della dance-hall. Poi viene anche una scura miscela in levare hip-hop - che porta la firma dell'illustre Frank Nemola – con il necessario graffio, profondo, diretto, sincero di "Ce sacciu iou"... Già, io non so nulla, 'mparatime ma fatelo con cura - rischio rompermi in questa fatica - nello sguardo che va oltre il rigo che può far cilecca!

giovedì 17 maggio 2012

Il mal di testa di Arminio

Ho scoperto un nuovo compagno di pensieri, Franco Arminio. Mi ricorda un maestro che ho avuto in gioventù Danilo Dolci si chiamava. Tutt'è due legati alla terra e alla poesia. Tutt'è due, capaci con la scrittura, di porre le basi di un pensiero altro, di spostarlo il pensiero dal "canone" e dal “cantone” dato. Arminio ama il formaggio, mangia panini nel suo vagare dolente e sconcertato. Pare arreso, tutto d'occhi nel cercare i resti di un desiderio. Forse si sarebbe arreso anche Danilo Dolci se mai fosse arrivato a "questo punto". E' difficile, sempre più complicato essere leva di cambiamento, "levatrice", come amava definirsi il triestino che si fece siciliano. O forse è cambiato il modo d'agire? Il farsi testimone? Franco Arminio, che vi invito a leggere, ha spesso mal di testa... Anch'io se m'interrogo... Se volete sentirlo, Arminio, sarà a Montesano, domani, sabato 19, alle 20.00, nel bellissimo Palazzo Bitonti.

mercoledì 16 maggio 2012

Tre noci moscate nella dote della sposa

E’ affidata al poeta  Pierluigi Mele, venerdì 18 maggio, alle  18.00, la presentazione di "Tre noci moscate nella dote della sposa” racconto di Simona Cleopazzo edito da Lupo nella collana “In box”. L’appuntamento a La Feltrinelli Point in via Cavallotti 7/a  a Lecce.

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Un libro che “batte”, lieve porta un ritmo: un accadere delle cose che è come un mormorio che canta senza fare ossessione, senza fare ombra.
Silvia, Silvia Perrone, così si chiama la protagonista, nella fragilità, è una tosta. Anzi è propio quella, la fragilità a renderla una capace di affrontare la vita, di fare cuciture e tagli - tagli netti, se è il caso - e di avere un cuore.
Già un cuore! Vi pare normale? No, non lo è. Non lo è sempre e, nella condizione di Silvia, quella è l’unica via: avere cuore, custodirlo, aver presente il battito vitale.
Lei, Silvia Perrone è “orfana”  di madre - così è scritto nella scheda che presenta il libro - ma poi leggendo sapremo... Un racconto lungo centocinquantanove pagine, ognuna con un suo peso, un andare e venire del respiro che accompagna nomi e li presenta dentro lo sfondo di luoghi che diventano vivi, nell’affanno del voltar pagina. Bologna, per prima, poi il Salento... da dove, appena in età, Silvia era fugita, per “trovarsi”.
Ma, sappiamo che “trovarsi” non è mai cosa facile e i luoghi, non son capaci di lenire l’ansia, quando c’è; il mal d’animo quando c’è; il desiderio, le necessità, la voglia degli altri che ci immaginiamo solutori del pianto se viene, del ridere, se viene... Ma tutto poi rimane fermo e l’unica cosa è tentare ancora, trovare lo scarto, la piccola leva che può permettere la fuga. Ecco, Silvia Perrone è capace di quello scarto, ha coraggio; è campione nell’affrontare la fuga risolutiva, quella che sa fermare il pianto, senza perderlo, che sa donare respiro al sorriso...
Il racconto poi, diventa di tutti nel suo epilogo, di tutti quelli che in questi ultimi anni hanno tentato e ancora tentano di dare forma nuova alla città, al Salento, alla Puglia. E, l’entusiasmo si confonde all’amaro, ed anche questo è un bel leggere tutto legato da una leggerezza che sa far musica e scopri, sul finale, la meraviglia di un “interno” tutto di tinte al femminile e un piccolo biglietto covato dagli anni che svela l’arcano, ciò che, trattenuto dal tempo, ha accompagnato la forza per vivere.

sabato 12 maggio 2012

La qualità del fuoco

Mormora il Partito democratico, a me, fa sorridere, senza malizia, sia ben chiaro... a noi romantici, i furori delle crisi la menano al tenero... Ma il ribollire degli animi serve e finalmente (forse) i Grandi Mandarini del Partito sentiranno poltrone e sedie friggere. Da tempo non succedeva e forse, a quelli dell’attuale comando, che io ricordi, non è mai successo. Sarà un’estate calda o è solo un fuoco fatuo? Sono in molti a chiederselo, difficile dare risposte... Una questione “interna”? No. Una questione che certo merita di non rimanere nel bunker di via Tasso. C’è bisogno di un confronto più ampio perchè il gruppo dirigente di un partito non appartiene solo al partito ma è cosa che riguarda anche gli elettori (quei pochi rimasti) di quel partito, ma anche oltre quelli... la questione riguarda per intero la città e con quella c’è da confrontarsi, per meglio servirla!

venerdì 11 maggio 2012

Politici e accessibilità

Cosa vogliono le persone dai politici amministratori della loro città? Vogliono che siano "accessibili" sì, proprio come i servizi che dovrebbero garantire! Già, perchè sono loro stessi dei "servizi". Le persone, i cittadini, vogliono la possibilità-disponibilità di un rapporto diretto con loro, di un contatto, di uno "scambio". Non è sempre così, perchè molti dei politici che conosciamo si sentono degli "aristocratici", sempre alle prese con altro. Il cittadino ha delle necessità, spesso cose piccole ed una città, nel suo quotidiano, è fatta di “piccole cose”: la buca, l'aiuola, la multa... quanto altro! Ecco, è la maggiore o minore "accessibilità" del politico sulle “piccole cose” a costruire una relazione capace di confermarlo o di bocciarlo nella gestione della cosa pubblica. Paradossalmente è il politico di centrodestra ad aver maggiore disponibilità alla relazione con il cittadino, si mostra capace di ascolto e capace di risolvere quelle piccole cose che agli occhi di chi è nel problema sono enormi.



mercoledì 9 maggio 2012

Perrone fuori dall'ombra

Paolo Perrone è il sindaco più suffragato d'Italia, un grande risultato per uno che sino a ieri l'altro era raccontato (dai suoi detrattori e non solo da quelli) come una persona senza grande appeal politico. La cosa fa pensare! Cos'è accaduto!? Da solo non so dar risposta. Meglio chiedere in giro...
Ci sono "saggi" che vivono appoggiati ad un banco di bar, consumano le giornate a tener desti  occhi e orecchi, soprattutto. Fanno la spola dal tavolino con i quotidiani e quello del giro di carte. Per il resto, lavorano d'attenzione, poi cuciono tutto. Lamentele, giudizi, piccole frasi, battute, voci diventano il testo di una "sociologia pettegola" di grande efficacia. Antenne sociali le loro, schiette e dirette che sanno fare meglio di un qualsiasi critico laureato. Di loro mi fido perchè son senza  pregiudizio e lavorano di buon senso... Basta acquietarsi, al loro cospetto, smettere qualsiasi "titolo" e aprir le orecchie, neanche il taccuino vogliono vedere gelosissimi del loro diritto d'interpretazione, il registratore? Manco a parlarne...
«Allora, cos'è successo?», chiedo...
«Paolo ha vinto, se l'è meritato questo grande successo. - E' entusiasta d'essere interrogato il "professore", ma non lo da a vedere - Il "signorino" – continua, senza alcun velo di sarcasmo - è stato percepito come uno che, col tempo, s'è fatto "ometto", uscito dall'ingombro dell'ombra è divenuto popolare. Certo, il personaggio, non è di grandi "calori". Nella vita pubblica, pare freddino, uno di poche parole, ma questo carattere schivo è stato percepito dalla gente come "soggezione": riservato per proteggersi, Paolo Perrone...
«Proteggersi da cosa?» incautamente lo interrompo, mi guarda di sbieco, il "professore" e ...
«Come da cosa? Che sei scemo...», mi apostrofa infastidito - «Nei cinque anni trascorsi il "nuovo" sindaco è stato chiamato ogni giorno a segnar la differenza da Lei, la Signora che tutto aveva la pretesa di controllare. Bhe!, i leccesi, che sanno come son fatte le mamme e soprattutto "certe" mamme, gli hanno creduto, ed ecco la pioggia di voti... 35.888 preferenze – scandisce il "professore" - forse non era mai successo... l'altra volta è stato diverso c'era ancora l'ingombro, l'ombra dell'eredità: il vicesindaco che diventa sindaco per segnare la continuità di una "signorìa", ma così non è stato ed è bello vedere un giovane che si afferma. Adesso la partita è tutta aperta. Il testimone è nelle sue mani, il purgatorio è alle spalle è nessuno potrà dire, ricordare, che Paolo Perrone era l'antico vicesindaco di Madame senza sentirsi un po' cretino».
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Rimango a bocca aperta... Pago il caffè e i biccherini. Il "professore", mi sfida a carte, ma... o da correre, alla prossima, alla prossima... Adesso sarebbe c'è da tener basse le ali e lavorare per la città, tutti quanti, anche quei pochi che andranno a sedere su i banchi dell'opposizione... C'è da fare cose interessanti, da mettere a frutto tutti i nastri tagliati, da tentare di far la Capitale Europea della Cultura e non so che altro... Buon lavoro, buon lavoro a tutti!

lunedì 7 maggio 2012

Ops! La città che non sogna! Ma cosa?

Il filobus ride, i vigili in macchina ridono e ridono anche gli ausiliari del traffico. Meglio lo status quo! Nel bar buono della città fanno a gara a chi ride di più!
La sinistra leccese s'interroga, al riparo, su fb. Ma qual'è la sinistra leccese? C'è? C'è mai stata? Certo sì, c'è stata ma è storia antica d'un tempo ormai remoto... Dissolta dal comitato "politico" che occupa le sedie buone. Adesso che faranno, le lasceranno libere? E' almeno da tre turni elettorali per la città di Lecce che son lì e per tre volte hanno miseramente perso.
La questione è antropologica, l'abbiamo scritto più volte in queste pagine, ma è fatto ormai evidente: questa è una città senza tensione politica, una città comoda che non ragiona e tutte le "marchette" partecipative sono solo un velo sulla voglia di non predere parte alle scelte... Una città ormai da decenni succube, senza conflitto, meglio... che non ama il conflitto. Pensare che i quartieri “popolari” diano sempre e solo fiducia ai governanti che governano in nome del favore è deprimente, ma è così. Lecce non ha popolo. S'è addormentato e non sogna, da sempre beandosi dell'essere in “controtendenza”.
Una città, non si capisce perchè, "altezzosa" che vive di forti antipatie e, perdonatemi, ma il personale politico che la sinistra esprime è antipatico, snob e saccente, senza umiltà... Di quelli che hanno capito tutto ma in realtà non hanno capito bel nulla (per non dir peggio...). Che ci volete fare, anche questa è antropologia bisognerà fare “penitenza” di silenzio e da lì tentare...
Ma cosa?

sabato 5 maggio 2012

Si vota e poi al mare

Si vota di buon'ora e poi via... di corsa al mare, al riparo dai frastuoni ad assaporare quella "ics" tracciata sul preferito/a sperando che la corsa lo/la porti al traguardo. La maratona sapete sfianca e quelli sono a correre da giorni, ormai con l'affanno e zuppi di sudore che un bagno sarebbe gradito anche per loro. Son certo che si limiteranno ad una doccia e saranno li a far la guardia ai seggi a stringer mani, a dar pacche, ad elargir sorrisi a destra e a manca... Che, nel giorno del voto, è bene non star stretti nelle parti e la recita può allargare i confini, a destra e a manca... "Che fa, sono amministrative" dice sornione chi sa, "è la persona che conta non l'ideologia". "Ancora co' st'ideologia", risponde l'altro, “a destra e amanca non c'è differenza e questa storia della "persona" è ormai malattia, che non se ne esce...”. Già, non se ne esce! “A destra e a manca la recita è la stessa...”, dicono in coro e ridono!

Prima si vota poi al mare

Giorno del silenzio oggi, quiete elettorale. La dovuta pausa prima della finale. Anche quando si prepara un debutto i bravi registi - se non sono in affanno - danno pausa, alla vigilia, un buon modo per decantare le energie e preparale al confronto con il pubblico. Chissà come andrà. C'è un pensiero che mi gira in testa in questi giorni, teoricamente (e metaforicamente) l’abbiamo affrontato nei giorni scorsi nelle pagine del Paese nuovo con un bel pezzo di Vincenzo Ampolo, trattava della "fionda" di David che abbatte l'anziano Golia. Ecco per farla breve... il candidato del centrodestra appare come un giovanotto in una compagine abitata da molti giovanotti senza fionde. Il centro sinistra è guidato da una signora - ed è scortese parlar d’età - in una compagine che, a ben guardare, non ama i giovani  e quando li accoglie, li muta subito in vecchi disarmandoli della fionda...  Specie se per loro prepara la "sedia buona", il resto è contorno inascoltato!

venerdì 4 maggio 2012

C'è un libro, mi fa compagnia da un po'.
Un libro diventato caro perchè di colpo - pagina dopo pagina - mi ha ridonato il passato: frammenti personali, ricordi, mischiati alla Storia più grande e ad una storia in essa, quella di Carlo Rivolta, un giornalista, meglio, un cronista, una di quelle firme (la più cara) che in tante mattine ho cercato tra le pagine del giornale, aspettato per sapere com'era andata, cosa sarebbe accaduto... per sapere da quel pensiero fidato il cosa e i perchè, il come e il quando...
Carlo Rivolta è stato compagno fraterno, prima dalle colonne di "Paese Sera" poi da La Repubblica. Giornali "bandiera" di una stagione; "rifugio" di chi, da solo, sceglieva di esserci e di leggere ciò che accadeva con un occhio "libero", quanto più possibile, "libero".
Gli autori di questo libro traversato da una tecnica documentaria che mischia e bene impasta materiali di "narrazione" - “L’aspra stagione”, il titolo edito da Einaudi, un Extra della collana Stile Libero - sono due leccesi Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale.
Protagonisti, gli anni Settanta e lui, Carlo, con la sua motocicletta, le sue passioni e tutte le sue paure... erano quelle a farlo amaro veggente in quegli  “anni bui” con il loro "carico" e con il loro amaro epilogo esistenziale.
Una storia corale, collettiva, combattente che nel volgere di "un'aspra stagione" s'è fatta crudamente individuale, solitaria, "pazza", alla ricerca di un rifugio... dove lasciar decantare la delusione, la ferita di un'intera generazione che mai aveva creduto e ceduto alla trappola della violenza.
Storia di Carlo e storia di molti, (anche mia...) in cerca di "calore e sicurezza" con la scimmia sulla schiena. Così è stato, così è andata e molti come Carlo non ci sono più, caduti, vittime dell'ennesima e più sofisticata trappola, l’eroina... ma tant’è, adesso leggiamo! leggete se potete e andate a sentire, l’appuntamento è oggi, sabato 5 maggio, per gli appuntamenti di “La sera andiamo al Museo”, al Castromediano di Lecce alle 18.30.