lunedì 26 novembre 2012

Con lo sguardo di Tina


di Santa Scioscio

Un pomeriggio ho fatto visita a Tina: Tina Modotti. Ho consegnato l’aria piena della città alla città - prima di entrare nel corridoio del Cineporto alle Manifatture Knos di Lecce - non valeva la pena portarsi dietro il peso dei suoi intrecci, i suoni, le luci , il suo umido impastato...
Andavo incontro alla Storia e in essa, alla storia di una donna. Tutte e due, ricche della bellezza asciutta di un tempo che fu denso di esperienze e di significazioni.
Il racconto che mi aspetta è quello fotografato dalla Modotti in Messico, negli anni fra il 1924 e il 1930. Storia nota e amata: femminilità, presenza, passione nella lotta, uomini e donne nel coraggio dell’osare rivoluzionario..
Lotta fatta e vissuta da Tina con la presenza politica e anche con lo “strumento” della fotografia.
***
L’imbarazzo del primo impatto, varcata la soglia, è commovente. Essere ad un palmo dal guardare dell’autrice, sentirsi nel suo obiettivo, contemplare ciò che è stato del suo occhio, della sua mano, della sua mente, del suo corpo.
I suoni che accolgono provengono da un precedente momento della vita di Tina: quello della recitazione. Accompagnano gli anni in cui è interprete, bellezza teatrale della nuova arte cinematografica  o protagonista familiare in alcuni scatti fotografici da altri eseguiti.
Le fotografie, esposte in un corri sguardo lento e riflessivo, promettono una densità che detta la “didascalia”. É in queste, che Tina diventa autrice di visioni, scegliendo il mezzo fotografico per fare realtà e partecipazione, per dire dell’infausto e della incitante svolta sociale.
La suggestione dell’autrice posso immediatamente sentirla nella “sperimentazione di forme similari”. Si agita il mio respiro. Da qui ho inizio... l’ombra e il nero formano l’occhio attento di me osservatore. Mastico con gli occhi il quotidiano di quegli anni, e faccio incetta di tutto il bianco fra il nero e del nero fra il bianco per andare nella forma dell’obiettivo e respirarne l’atto che induce allo scatto, a quell’osservare e fermare la consapevole forma di concetti.
Evidenti significati attraversano con linearità la bellezza cruda, quella emblematica, e non fine a se stessa. E ne riconosco la sete di vedere, di documentare, di fare udienza agli oggetti comuni dalla pietra alla musica della libertà, dalla pannocchia agli stracci, alle mani impastate di risorse.
Ne riconosco il crepuscolo sovversivo.
Non basta guardare. La dimensione che queste immagini suscitano invita ad accarezzare quei volti e i bei capelli, a toccare le gonnellone e l’orgoglioso sombrero dei contadini, a schioccare le corde del burattinaio, ad entrare fra la folla partecipata nella comune lotta, assistere al pindarico scatto dell’ombra del volo di fili del telegrafo, a fare la riga alle chiome di donna.
Non basta guardare. Gli scatti concedono di far silenzio nel giorno faticoso della rivoluzione sanguinosa. Concedono far l'inchino alla forma brulla, alla folla che crede alla gratitudine.
Sento lo sguardo di Tina dove l’occhio è primordio di concetto.
Cosa mai può essere un fiore in un obiettivo che misura armonia, bellezza, qualità di natura nella fortuna del giorno?
Cosa mai può dire l’espressione serena, nella morbida guancia, su di un letto di morte di un assassinato... appagata beltà esiliata?
Calle due, rose di più, mani di più, occhi di più ancora, chitarre, massi, animali, bambini, uomini e donne, fili della scienza e fili per muovere burattini. Comizi e mercati.
Il costruire, nell’allattatrice e nell’operaio come nei fili del burattinaio.
E, il futuro,  nella falce e martello come nella donna di Tehuantepec.
Nostalgia a piedi nudi, tenace desolazione, speranza nella passeggiata di una bandiera femmina, ricchezza della fatica, fiducia povera dell’emarginato, lavoro e orgoglio di esserci per fare il nuovo solidale. I pochi anni di vita di Tina Modotti non mi bastano, a me torno. Oggi è ieri, quello della donna fatta gonna. Oggi è ieri, quello del richiamo alla rivoluzione sempre è. Nello stesso bianco e nero consegno la mia complicità al suo sguardo.

sabato 17 novembre 2012

Dal Cine-luogo - Storia di cinema nel Salento


di Cristian Sabatelli
ad illustrare la pagina de il paese nuovo dedicata al racconto

Il nostro racconto parte con un uomo, (C) che entra in un locale, un locale tutto bianco e morbido, un luogo che ricorda un bar, più precisamente il Korova Milk Bar, quello dei drughi di Arancia Meccanica, ma non è un bar, degli stands espongono delle foto, tratte chiaramente da film,     è un luogo di cinema.
Il nostro uomo è lì per cercare lavoro, è appassionato di video e da “indipendente”, sbarca il lunario da più di 10 anni lavorando come operatore e montatore, per svariate società di livello nazionale.
Come è abituato a fare invia Curriculum a destra e a manca, si aggiorna sulle produzioni che vengono a girare i film in zona, e si propone, come autore di “making of”, o “Dietro le quinte”, il “Backstage” per dirla semplice.
E’ il 10 di Ottobre del 2011, all’interno del “Cine-luogo” è in corso il casting per un film di fiction, per una importante società di produzioni, si gira una storia italiana, che racconta di avvenimenti in un epoca dura, un epoca di passioni e scontri, di fascisti e di uomini di ferro.
In maniera un po’ disillusa consegna il Curriculum a (S) Coordinator di Produzione.
Intanto sta lavorando su un documentario, una storia sociale, di uomini, donne e palloni, è in fase di montaggio, ed essendo un documentario autoprodotto ci si mette nei periodi “vuoti”, quando lavoro pagato ce n’è poco.
Non è un gran periodo, ma il nostro uomo ha gusti semplici, ciò che lo riempie di più è lo sguardo della sua famiglia, di sua figlia, e di sua moglie, incinta.
La mattina del 24 Ottobre squilla il cellulare, a quanto pare il riscontro positivo dell'analisi delle referenze ha fatto si che (C) fosse richiamato dai responsabili (S)  per riferire che la società in questione aveva bisogno di un backstage.
Si lavora, finalmente.
Così, l'appuntamento viene fissato sul set, a Nardò (LE), la stessa mattina.
Una terza figura entra in scena, (L) in qualità di organizzatrice generale, con la quale, dopo una contrattazione degna del miglior mercato rionale, da 1000 € proposti fissano il compenso per la realizzazione del backstage in 2500 €.
Comincia il film.
Sul set incontra vecchie conoscenze, macchinisti, elettricisti, responsabili comparse, e giù a salutarsi, ad abbracciarsi, nel cinema è così, ci si incontra sui set, si lavora insieme, ci si diverte , ci si ama, ma finito il film ognuno per sé e dio per tutti.
Inoltre è importantissimo mantenere una linea comportamentale “positiva”, perché le difficoltà (tante) che ci possono essere in un film devono essere risolte, subito, e con il sorriso, e a (C) non manca.
Sul set, il nostro (C) continua a lavorare, entusiasta, comunicando alla produzione via mail sia le difficoltà che le belle scene “portate a casa”.
Il dietro le quinte è sempre bello da raccontare, svela un po’ i trucchi del cinema, racconta degli attori che sbagliano, ridono, piangono, racconta di quei personaggi che in posizioni degne del miglior Houdini reggono pannelli di polistirolo sperando che la propria testa non sia nell’inquadratura. Sono i preferiti di (C).
Intanto con un ritmo costante sollecita alla produzione la firma del contratto da lui stesso posto via email all'attenzione di (L) ma viene continuamente rimandato.
Così (C) si rivolge direttamente agli uffici di produzione, a Roma, parlando con il presidente d'azienda responsabile, il dottor (S), il quale indica come referente di (C), il signor (M), responsabile di edizione della società, per tutto ciò che riguarda il backstage, e la sig.na (MH) come referente per i contatti con gli attori.
Il lavoro va avanti, (MH) scende a Lecce, insieme a (C) girano le interviste e così passa Novembre, le richieste di  (C) sulla firma del contratto risultano essere innumerevoli, senza alcun esito.
Così, alla fine delle riprese (16 dicembre) viene consegnato a (C) un assegno di 500 euro di cui rilascia fattura come acconto per la realizzazione del backstage, tuttavia senza ancora aver firmato alcun contratto che potesse testimoniare gli accordi presi in precedenza con la produzione.
Passa Natale e comincia il montaggio.
Il giorno 27 gennaio 2012 (C), via web, invia la sua versione definitiva del Backstage, il FINECUT in gergo cinematografico, aspettando il commento da parte dell'azienda interessata, per apportare eventuali modifiche e soddisfare le esigenze di produzione, come è sempre stato abituato a fare.
La data di consegna definitiva del Backstage è prevista per il 10 Febbraio come da Piano di Edizione inviato da (M) a (C).
I giorni passano, ma del commento non si hanno notizie, la Produzione latita, non risponde,
il 31 gennaio finalmente una piccola svolta, arriva via mail  il buon commento di (M), che ufficialmente pone le sue note: “Metti un po’ più di immagini di quell’attrice, il suo ruolo lo esige, per il resto secondo me è un buon lavoro”,  ma rimanda il commento definitivo al Dottor (S).
Qualche giorno dopo squilla il cellulare, (M) si è dimesso, tirato fuori dal progetto, motivi personali, dice.
Il referente cambia nella persona di (MH).
A questo punto, dietro incessanti richieste per ottenere il commento (C) chiama (MH) e parla con il Dottor (S), il responsabile dell'azienda, che pretende tutto il materiale girato prima di rilasciare un commento definitivo.
Basta, (C) perde la pazienza, e a sua volta pretende di avere il contratto prima di consegnare tutto il materiale. Viene minacciato telefonicamente dal Dottor (S), in maniera pesante, al telefono si sente la parola “estorsione”.
La telefonata si conclude con toni grossi, e (C) propone di risolvere la diatriba a Roma, presso gli uffici dell'azienda, consegnando il materiale e ricevendo “contestualmente” il pagamento per il lavoro svolto.
Il 14 Febbraio 2012 (C) è a Roma, il 15 cena insieme ai suoi amici, non nascondendo la vicenda, anzi ne parla chiaramente con (D) che cerca di abbassare la tensione, incoraggiando (C) che tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Alle 22.00 circa squilla il cellulare, è (L), organizzatrice generale, che propone a (C) un rimborso spese/viaggio/extra di 500 €.

(C) accetta, e si tranquillizza.
E sbaglia.


Il giorno 16 febbraio 2012, è mattina e (C) si reca nella sede della società a Roma, ed in presenza di un gran numero di personale della produzione, (C) consegna fattura più hard disk con tutto il materiale (riprese e montaggio), firma una liberatoria riguardo il materiale (non controfirmata dall'azienda) ricevendo una ricevuta di bonifico online di Intesa Sanpaolo di 2500 € , direttamente dalle mani dell'organizzatrice generale, l'ormai storica (L).
Tornato a Lecce, il primo passo è presso la banca Intesa SanPaolo per verificare l'avvenuto accredito, ma presentando la ricevuta consegnatagli da (L) , la realtà viene fuori, la filiale in questione è inesistente, il numero di transazione online falso, ed il numero di conto corrente aziendale non corrispondente con il reale, insomma, un documento falsificato ad arte, roba da Photoshop.
Ora, tutta questa storia è chiaro che non si potrà mai dimostrare legalmente, perché
suddetta ricevuta non è firmata da nessun componente della società.

Ma (C) telefona (L) e chiede spiegazioni riguardo quella ricevuta consegnatagli, (L) risponde che non ne sa niente, che “quelle son ricevute che si auto-generano quando fai un bonifico online”.
E NULLA PIU’.
(C) però ha registrato la telefonata.

Dopo il danno, arriva anche la beffa, (C) è fregato, ma la società gli invia un telegramma pretendendo tutto il materiale del backstage ! Che gli è già stato consegnato. (!)
Mossa strana, roba da avvocati questa. Così (C) risponde, sempre via telegramma di aver già consegnato il materiale personalmente a Roma, in presenza di testimoni autorevoli, quali il montatore della fiction stessa, e di essere pronto a riconsegnare nuova copia purchè dietro reale pagamento del compenso pattuito.
Poi il nulla.
Il legale di (C) contatta il legale del Dottor (S) ma dopo una prima telefonata anche questo sparisce nel nulla, non risponde alle mail né al telefono.
In seguito C. viene a conoscenza che anche (MH) la segretaria, ha abbandonato la nave di truffa perché non sopportava più l'idea di raggirare la gente e in questo caso (C).

A Maggio nasce il secondo figlio, ed ancora oggi (C) insegue il suo compenso, fra avvocati e sindacalisti.

“Ora io mi trovo con un foglio che è carta straccia, non ho una sola firma d'azienda che confermi gli accordi presi, dopo aver consegnato il lavoro senza essere stato pagato e con una copia di tutto il materiale sul mio computer. (Tutto il materiale girato, fotografie sul set, progetto di montaggio in varie fasi di elaborazione)”. E continua: “ Sono avvilito, schifato, depresso, incazzato”.

Doveroso da parte nostra inserire per esteso l'ultimo significativo sfogo di (C) per far luce su questioni che inesorabilmente non hanno né la prima né l'ultima vittima da illudere.

lunedì 5 novembre 2012

In cerca del popolo leccese

Cerco il popolo leccese e mi accorgo che non c'è. Si maschera, fa finta d'essere altro. Lo fa da così tanto tempo che s'è dimenticato d'essere popolo con un sua dignità di popolo.
Dove lo posso andare a sentire? A contattare?
Nei racconti di mia madre il popolo c'era. Tenuto nelle mura della citta, nel chiasso dei ragazzi per strada. Il nonno, suo padre, lavorava al mulino. Era dalle parte del Parlangeli d'adesso.
Era campagna lì, tutta campagna fino a perdersi...
E campagna era tutt'intorno alla città e tutt’intorno ai buchi della cave, che certo popolo ne hanno accolto nei tempi remoti del farsi della città barocca... E i cantieri degli scalpellini? Da chi erano abitati? Dov’è quella storia? Dove sono quelle storie?
C'è una foto - la ricordo chiusa in un lungo rettangolo - in una panoramica mostrava quello che adesso è il Viale degli Studenti. Si vede una sterrata segnata dai pini, da una parte la città dall'altra campagna, campagna a perdersi... ancora campagna.
Qualche domenica fa passeggiando, ho visitato il Parco di Belloluogo, e... quella che era la campagna d'un tempo m'è apparsa... L'ho intravista, ho potuto immaginare com'era la campagna degli orti.
Questo lasciano presagire gli impianti di irrigazione che scorgi, il sistema dei pozzi e delle vasche di raccolta... Ho immaginato un antenato tante volte narrato a noi bambini, "facìa lu sciardenieri", faceva il giardiniere, teneva un orto in fondo alla via per Taranto, e lì lo ammazzarono per questioni di verdure...
Cerco, e ancora un ricordo viene, il mercato del lunedì in Piazza Sant'Oronzo nell’“antico” Novecento era agricolo, di semenze e di mano d'opera, c'erano braccianti in cerca di lavoro allora, era popolo quello... Poi c'erano le fabbriche. Quelle del tabacco - lì il popolo era di donne e quante... se guardiamo ancora adesso abitano la città quelle fabbriche, in abbandono se non trasformate in qualcos'altro, come quella di là dal ponte di San Cesario che ospita un ristorante... Cose/case di popolo, l’illustre assente di questi giorni... Da tanti giorni...
Quel popolo vorrei rintracciare.
E per far questo, faccio appello ai lettori, agli affezionati di queste pagine.
A loro mi rivolgo per cucire storie, quante più possibile, storie di uomini e di donne e storie di lavoro.
Cose di prima... Prima che la città terziaria fagocitasse ogni esperienza cancellando la memoria di quella che una volta si chiamava Stalingrado... Dell’assalto alla Prefettura, del processo fascista ai comunisti leccesi... e di chissà quant’altro...