lunedì 30 settembre 2013

Lecce e i suoi mercati

La nuova area per il mercato bisettimanale mai usata in una fotografia di Massimiliano Spedicato
Premessa: Piazza Libertini ancora una volta è per metà bloccata, la parte centrale del grande spiazzo del Palazzo delle Poste è recintato, l'ennesimo montaggio di un palco, poi le transenne si faranno "muri" a proteggere dai "portoghesi" le star di turno (nello scorso week end è stata la Nutella con scivolo gigante e musica sparata a tutta che c'era un frastornamento che non vi dico...).
Ieri l'altro, l'architetto Valeria Crasto, su Facebook, pubblicando la foto del Mercato di Porta Palazzo a Torino, un bell'edificio contornato nello spazio antistante da tantissimi banchi colorati, si chiedeva perchè a Lecce, Settelacquare, non potesse diventare un'area mercatale altrettanto bella e frequentata da tutta la città...
Molti, in questi anni, sono stati i tentativi (alcuni riusciti come il trasferimento del mercato coperto "fuori le mura") di "privare" la città della sua anima popolare: quello è un mercato con gli odori, i colori, gli inviti dei venditori, il mischiarsi delle persone con le persone...
La "città aiuola" immaginata da Adriana Poli Bortone è, in parte, un progetto riuscito e rimane poco, in centro, della Lecce di un tempo ormai remoto, vivo soltanto nella memoria di qualche anziano.  L'ultima enclave è quella degli ambulanti in Piazza delle Poste ma per quanto potrà resistere?
In questi anni si sono investiti denari, e molti, per tentare di mettere ordine: per il mercato bisettimanale - quello che ormai storicamente si tiene su Viale dello Stadio - si è costruita, dal nulla, in fondo a Viale Roma, un'enorme area, risultata alla verifica inadeguata. Si è "inventato" su Viale Aldo Moro, il Mercato Multietnico un spazio giardino bello e funzionale se solo, oltre all'inaugurazione si fosse lavorato a riempirlo di contenuti (soprattutto) più che di merci (assenti anche quelle). Di fianco all'azzurro mediterraneo di quella costruzione – che forse sarà destinata più "etnicamente" al Made in Salento - si è poi costruita, con vetri e acciaio, la nuova sede del mercato per gli ambulanti di Piazza delle Poste, diventerenno stanziali nei box assegnati, ma anche quella, non ancora usata, rischia di deperire e di essere mortificata dall'abbandono.
A pochi metri da lì, l’ormai vecchio capannone del mercato coperto, l’erede di quello storico che abitava sotto le mura del Castello di Carlo V°, coperto dalla tettoia liberty. C’è molto da fare, molto da immaginare.
Torno alla premessa e al riempire di contenuti ciò che si vorrebbe far divenire virtuosismo e virtù cittadina... L'area di Settelacquare, oltre alle aree da destinare a Mercato, gode anche di grandi spazi vuoti non sarebbe il caso di ospitare i "grandi eventi" lì? Palchi, concerti, mercatini del gusto, fiere e fierucole varie perchè non si immagina di poterle allestire in quel luogo, a Settelacquare, avviando una manovra di valorizzazione della prima periferia cittadina, un asse che si pensa fondamentale per il futuro sviluppo urbano... basterebbe un pò di fantasia e, forse, chi si ritrae dall'idea del trasferimento della sua attività commerciale in altro luogo fuori dal centro, inizierebbe ad apprezzare l'idea di farlo.
La città che si candida ad essere "Capitale Europea della Cultura" e "Patrimonio dell'Umanità" dovrebbe forse, anche pensare, a come proteggere la sua particolarità recuperando e dando lustro alla "dimenticata" anima popolare del far mercato.

sabato 21 settembre 2013

Lu picciu dell'Unesco

La città "Patrimonio"

Un nuovo "piccio" seduce Lecce: chiediamo all'Unesco di tutelarci... Un "piccio" proprio dopo quello - "raddrizzato" in corso d'opera - di divenire nel 2019 Capitale Europea della Cultura. Certo, son bei desideri ed è stupido osteggiarli, chi ha a cuore la città è chiamato ad accoglierli anzi di più, a lavorare perchè si realizzino, anche perchè si tratta di percorsi che, alla lunga, possono risultare virtuosi...
Il centro storico di Siena "straordinaria città medievale che ha conservato le proprie caratteristiche" è sotto l'ala dell'Unesco. Ci siete mai andati? Stupore: le parabole tv sui tetti sono rosso mattone, rese invisibili da un rigorosissimo piano del colore che tutela il decoro cittadino. Le regole municipali a tenuta della visione si traducono nell'assenza di condizionatori d'aria a vista, nell' accordo degli arredi urbani, delle insegne dei negozi etc... etc... etc... Un sistema, un progetto condiviso e rispettato che rende unico quel luogo: "Un capolavoro di inventiva in quanto gli edifici sono stati disegnati per essere adattati alla struttura urbana creando un tutt'uno con il circostante paesaggio culturale" si legge nel sito dedicato alla città toscana dall'Unesco. Una città, Siena, degna di essere nominata Patrimonio dell'Umanità perchè tutelata a monte dai suoi cittadini e dai suoi amministratori.
Certo, il nostro centro storico lo meriterebbe! Il barocco, il lavoro che lo ha creato, soprattutto, meriterebbero quel riconoscimento che, ahimè, tarda a venire proprio dai leccesi. Non a parole – per quello siamo campioni! Mancano le pratiche, manca quell'educazione civica capace di trasformare l'orgoglio di un'appartenenza in umiltà quando si tratta di abitare, di occupare con il proprio lavoro una porzione di città. Non accade a Lecce! Nel nostro centro storico regna sovrana e largamente tollerata una sorta di allegra anarchia e come se non bastasse si tarda ad adottare provvedimenti che accordino al Barocco il "decoro" urbano. Non è un'utopia, basterebbero delle regole, basterebbe per esempio non svendere un giorno sì e un giorno no Piazza Sant'Oronzo al "miglior offerente"; basterebbe capire quale destino prospettare per la città nel suo complesso tendando di pacificare le spinte schizofreniche che - un giorno sì e un giorno no - l'attraversano.
Martedì 17 settembre a Lecce, la vice presidente della Regione Puglia, Angela Barbanente ha presentato il Piano paesagistico territoriale: un "tessuto" di regole e di prospettive per garantire ai territori di svilupparsi in accordo con le loro più intime vocazioni al riparo dalle pretese speculative di chi ragiona non pensando ad un futuro di bellezza e di sostenibilità. Regole risultate indigeste ai più. Il nostro Sindaco s'è fatto paladino di quei Sindaci che non vogliono sentirsi secondi a nessuno. Che strana pretesa come se il loro mandato non fosse a termine e come se il loro mandato non contemplasse la protezione e la tutela del territorio che governano...
In Puglia patrimonio dell'Unesco dal 1996 sono i Trulli di Alberobello, anche quelli accolti in un centro storico armonico, bello a priori perchè frutto dell'antica lezione del decoro contadino. Forse  per consolarci potremmo far riferimento al centro storico di Napoli, patrimonio dell'Unesco dal 1995, no! Meglio lavorare per capire il da fare cominciando magari a pulire da noi le strade che attraversiamo e "consumiamo", meglio scegliere di guardarci intorno cominciando a sperimentare la bellezza, costruendola quotidianamente. Solo allora la partita si potrà giocare.

La Gazzetta del Mezzogiorno del 21 settembre 2013 

mercoledì 11 settembre 2013

Citta del Libro, che fare?

Che guaio, la Città del Libro edizione 2013 è a rischio. Certo si farà, ma, per l'ennesima volta si mostra fragile nel lento cammino verso una sua stabilizzazione e conferma, traguardo non del tutto scontato. Peccato, si era (forse) all'anno cruciale: la Puglia vedrà quest'anno tornare in "patria" il Forum Nazionale del Libro e della Promozione della Lettura e Campi sarebbe potuta essere una delle tappe del progetto itinerante nato a Bari dieci edizioni fa... "Ma che importa", penserà qualcuno, "son storie da specialisti, a chi vuoi che interessino?".
Il problema della kermesse di Campi - che nelle ultime edizioni sembrava aver trovato un nuovo passo - è sempre stato il "campanile". Una dimensione "strapaesana" che ha guardato al libro come ad un "di più", condimento di un'insalata, senza sapore definito, fatta di passerelle politiche, di pavoneggiamenti autoriali più o meno nazionali, più o meno locali e di folle di scolaresche disinteressate a far da claque utili solo a pompari numeri dei partecipanti.
Anche la Fondazione - voluta nell'agosto 2002 dalla giunta di Centrodestra guidata da Massimo Como con l'intento di "diffondere la conoscenza del pensiero e dell’opera degli autori del Sud d'Italia" (che sarebbe stata una buona prerogativa) - appare ai più concepita come una scatola chiusa da gestire in "privato", con gli Enti Territoriali "seduti" su uno strapuntino, pronti a corre via quando c'è da decidere qualcosa e ben contenti di non decider nulla specie quando si tratta di tirar fuori dei denari. Evidentemente, il libro non scazzica come la pizzica-pizzica e non è più di moda invocare la "destagionalizzazione" e la cultura progettando un'offerta turistica diversa nel tempo in cui l'appeal salentino è tutto declinato all'usa e getta musicale.
Ma quello della gestione "consortile" della "cosa" culturale è la costante nel Salento; altre istituzioni di maggior successo, evidenza e solidità economica ne fanno ampio abuso, facendo finta di non sapere che, le Fondazioni, non devono essere chiuse ed escludenti ma enti di apertura e di dialogo. Enti della comunità che attraverso loro, attraverso la "specializzazione" proposta, si aprono al "mondo", nel caso della Rassegna nazionale degli Autori e degli Editori del Mediterraneo" - questo il sottotitolo dell'ultima edizione della "fiera" di Campi – il "mondo" del libro.
Nei giorni scorsi si è concluso il Festival di Mantova, uno degli appuntamenti più importanti del panorama letterario ed autoriale italiano. In un'intervista Luca Nicolini - uno degli otto privati cittadini di professioni diverse che nel 1997 si sono costituiti in Comitato Organizzatore per dar vita alla manifestazione lombarda – ha raccontato, che il gruppo di lavoro sul programma si riunisce ogni anno, a partite da febbraio, con incontri fissati ogni quindici giorni per fare il punto e concertare via via i temi che andranno "in scena" nell'edizione successiva. Una preparazione certosina motivata dalla passione e da un'attenzione quasi maniacale al panorama editoriale ed autoriale nazionale ed internazionale e alle sue tendenze. Non è così, almeno mi pare, a Campi Salentina.
Un'occasione persa – avviatasi nel 1995 per volere dell’Amministrazione comunale guidata da Egidio Zacheo che individuava nella cultura «il veicolo di riscatto del territorio» - che rischia di deflagrare se non si riesce a mobilitare sul progetto "Città del libro" la partecipazione dei tanti cittadini, operatori culturali, editori, autori che nel territorio lavorano alla promozione della lettura. Un tavolo ampio, un "Forum del libro salentino", dove poter immaginare la possiblità di rilancio della iniziativa campiota o la sua "traduzione" in un altro evento che pienamente punti al valore del libro, della lettura e dell'esperienza autoriale come leva necessaria alla crescita e alla coscentizzazione della comunità.

Su La gazzetta del Mezzogiorno di mercoledì 11 settembre 2013

giovedì 5 settembre 2013

Il paesaggio, la comunità e la comunità delle comunità

Lo scorso 2 agosto, la giunta regionale pugliese, ha approvato il nuovo Piano Paesaggistico Territoriale oggetto, in questi giorni, di approfondimento e discussione in sessioni pubbliche che si terranno in diverse città per favorire la massima partecipazione, l’appuntamento a Lecce è per il 17 settembre. Si legge sul sito che presenta il PPTR: “I paesaggi della Puglia, prodotti nel tempo lungo della storia delle “genti vive” che li hanno abitati e che li abitano, costituiscono il principale bene patrimoniale (ambientale, territoriale, urbano, socio/culturale) e la principale testimonianza identitaria per realizzare un futuro socio/economico durevole e sostenibile della regione. Un’identità che si è costruita nell’azione umana di lunga durata, esito evolutivo di dinamiche relazionali nelle quali le dimensioni dello spazio e del tempo sono indissolubilmente legate”.
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Il paesaggio è dunque “bene comune”, ma quanti lo considerano tale? Il cittadino e la comunità dei cittadini è chiamata ad esserne il custode ma l’essere cittadino, l’essere comunità è condizione mutevole che spesso sfugge alle responsabilità e al dovere civico; altre volte, l’interesse di campanile tende a prevalere sull’interesse generale del Territorio che è, uno per tutti. Allora la domanda: siamo soli, siamo comunità o siamo comunità di comunità? Nel nostro essere al mondo “micro” e “macro” continuamente si intrecciano, muovono e sollecitano la nostra vita, la nostra attenzione, il nostro organizzare l’esserci e il fare. Poi, c’è l’indifferenza!
“I paesaggi della Puglia sono a rischio – si legge ancora nel prospetto che presenta il PPTR - il degrado e la progressiva compromissione del patrimonio paesaggistico pugliese sono sotto gli occhi di tutti. Ancora più aggressivi degli agenti ambientali (...) sono i comportamenti sociali, i processi di sviluppo economico e i nuovi stili di vita che incidono sempre più sul paesaggio e ne alterano la bellezza e la integrità”.
Il nostro Salento è nel travaglio. Conservarlo è il pensiero di molti (una minoranza, almeno così pare), molti altri (con la complicità di una maggioranza silenziosa e accondiscendente) lo immaginano diverso: inseguono “mode”, la volubilità del mercato, l’impermanenza.
Il modello Salento, dagli anni Novanta in poi, ha avuto vari interpreti, si è partiti dall’idea del “Salento da Amare” e dall’immagine del “parco” per approdare poi al Grande Salento, alle accelerazioni di un “modernismo” scellerato senza progetto disegnato su misure “datate” e subalterne alle logiche di un “industrialismo” che ha fallito il successo sperato. Un esempio per tutti: la S.S. 275 che collega zone industriali abbandonate, mai decollate… Certo, c’è necessità di migliorìe su quei tratti stradali, ma non così enormi, così deturpanti. Invocare la sicurezza è un conto altro è, favorire le lobby dell’asfalto e del cemento approfittando (a casaccio) dei lauti finanziamenti dell’Unione Europea e così, la Maglie–Otranto si spera veloce così come la Regionale Otto. Intanto si ferisce il paesaggio attaccando il suolo agricolo, si spiantano ulivi salvo poi celebrarli, nelle vetrine enogastronomiche, come fonte d’identità e di autenticità.
Normale schizofrenia politica? No, c’è molto di più. C’è il non essere comunità nella comunità. C’è l’assenza di un piano, di una visione capace di immaginare il territorio nella sua unicità e complessità. Non c’è un “insieme” e fa sorridere chi invoca Ibiza come modello da perseguire.
In questi ultimi anni abbiamo assistito a fatti emblematici, hanno riguardato piccole comunità ma avrebbero dovuto chiamare l’intera comunità salentina alla sollevazione, all’esercizio del giudizio, della critica e della proposta.
Due esempi “piccoli” ma molto significativi.
Torcito affidato dalla Provincia all’impresa Intini Source Spa, viene deturpata. Un appalto di oltre 3 milioni e mezzo di euro, somma stanziata grazie al programma Interreg II Italia-Grecia, per la “valorizzazione delle potenzialità turistiche della Masseria Torcito”. Nel corso dei primi lavori un’intera collinetta viene smantellata e uno storico albero, caro agli abitanti di Cannole, sradicato e fatto a pezzi: una ferita alla memoria della comunità. Una leggerezza dovuta al mancato controllo, esempio di una colpevole sciatteria del fare politico che esulta nel disfarsi dei beni pubblici, di pezzi di territorio e subito si de-responsabilizza, dimentica. Il controllo è lo strumento, la tenacia del controllo è il compito che permette alla comunità di essere presente ed efficace nei processi di cambiamento. Ma ciò che è peggio è stato l’abbandono e il continuo oltraggio subito da Torcito in questi anni, un luogo recuperato alla funzione e restaurato non più di 15 anni è diventato oggetto di un nuovo intervento di recupero. Di chi la responsabilità? Della Provincia di Lecce proprietaria del complesso che non ha saputo dare destino a ciò che era suo?!
Altro esempio, senza danni questa volta, ma significativo dell’inedia delle amministrazioni pubbliche e dell’indifferenza dei più, è l’affidamento al FAI dell’Abbazia di Cerrate: è bastato pulire, sistemare le luci per ridonare decoro al luogo, certo verranno altri provvedimenti (speriamo non troppo invasivi) ma van già bene quei piccoli interventi di manutenzione: l’ordinario è miracolo dove impera l’abbandono e l’indifferenza.
C’è adesso il grave problema della gasdotto transadriatico, il tubo che dal mare porterà in Europa il gas naturale proveniente dall’Azerbaijan, opera considerata strategica dal governo italiano e dall’Unione Europea. Di tubi, con le loro piccole e grandi emergenze, ce ne sono altri: portano le acque reflue - e le incazzature di altre comunità - in mare. C’è ancora l’invadenza del fotovoltaico e dell’eolico. Insomma, un gran da fare in un Salento che in realtà non sa che fare e che, incredibilmente, perde il contatto con le sue necessità e i presidi culturali che potrebbero essere capaci di difenderlo.
“Non vendete la vostra terra per un piatto di lenticche” ammoniva Giovanni Lindo Ferretti in un’epica edizione della Notte della Taranta. Così non è stato e quell’evento - invece di essere luogo di riflessione sulla tradizione e di proposta anche politica - nell’ultima edizione conferma il suo essere diventato dispositivo di annientamento dei valori ispirativi in favore di ritorni d’immagine e di affari. Neanche un “pannolino culturale” è stato esibito in quest’ultima edizione della Notte tutta spesa all’inseguimento della Rai, considerato il “massimo” traguardo. Va bene così! Se la volontà è far così...
Ma c’è da sperare altro. C’è una “minoranza” attiva, parlante, proponente, che spera e vuole altro. Ma come diventare maggioranza? Il “che fare” può essere governato dal “no”? Questa la domanda. E ancora: è possibile lavorare oltre la consueta e logorata rappresentanza politica ispirando processi di partecipazione dal basso capaci di riflettere sulla complessità e sulle emergenze del territorio?
Sì, se i movimenti maturano le loro istanze. Sì, se si è in grado di ispirare l’agire collettivo con azioni propositive e costruttive; se si è capaci di portare alle luce le contraddizioni di piani di sviluppo vuoti di futuro. Sì, se si fa alta l’istanza maieutica della politica.
Un’occasione (forse) c’è: “Spero che, nel corso del confronto sul piano Paesagistico Territoriale Regionale - scrive Angela Barbanente - avremo modo anche di approfondire la parte strategica del piano, per evidenziare quante potenzialità di sviluppo siano dischiuse dalla conservazione, tutela, riqualificazione e valorizzazione del patrimonio paesaggistico regionale. Mi riferisco, in particolare, allo “scenario strategico”, articolato in azioni, progetti e politiche, finalizzati alla attivazione di nuove economie e sistemi produttivi a base locale e all’integrazione fra le politiche del paesaggio e politiche di sviluppo rurale, di mobilità e trasporto, energetiche, di sostegno alle attività produttive e alla promozione del turismo”.
Le comunità e la comunità delle comunità sono chiamate alla presenza!

Su La Gazzetta del Mezzogiorno di giovedì 5 settembre 2013