martedì 19 maggio 2020

Il Virus e lo Spazio


È notizia diffusa e condivisa che, gli allevamenti intensivi di animali abbiano storicamente inciso sulla nascita dei Corona Virus, le ipotesi che il modo in cui è prodotta la carne abbia contribuito alla comparsa del Covid-19 sono molto solide. E, allora, per prevenire o quantomeno rallentare, la nascita di nuove malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, occorre regolamentare meglio le filiere di produzione e i mercati, ma è, soprattutto necessario, riflettere su come viene prodotto, a livello globale, il cibo che mangiamo. Il Covid 19 è “maestro”, con il suo drammatico avvento ci offre l’occasione di analizzare il nostro stile di vita e di pretendere politiche che impongano, al settore agroindustriale, standard di sostenibilità ecologica, sociale ed epidemiologica più efficienti, immaginando e promuovendo pratiche più virtuose di produzione zootecnica e agricola nell’utilizzo del suolo garantendo la sua tutela e conservazione.
Il tema è quello della distanza, dello spazio tra gli animali quando vengono allevati, della cura nell’allevarli e nella garanzia della tracciabilità che li porta poi ad essere consumati. Ma, il tema della distanza, dello spazio, non riguarda solo loro, è materia che, a ben guardare –  ce ne siamo accorti in questo lungo periodo di quarantena con il “distanziamento sociale” - riguarda le persone, le cose, i luoghi che abitano. La città, l’intero Paese, il Mondo. Ci siamo resi conto che l’ammasso non serve, non è stato utile e lo sarà men che meno nel futuro. Dobbiamo, allora, complessivamente ripensarci. Non possiamo inseguire il passato, ciò che era acquisito se vogliamo immaginare un possibile futuro.
Per come si è pensato (e si continua a pensare) la città, il consumo, lo spettacolo anche noi siamo polli all’ammasso, tutto è progettato per creare quantità. La logica dei grandi eventi è il fondamento dell’ammasso della corsa ai grandi numeri, del guadagno a scapito della vivibilità e del benessere.
Oggi tutto è evento, tutto è affollamento, peggio, tutto è scontro - vetrina di vanità più o meno esplicitate - perché l’assenza di spazio aumenta l’aggressività. Da dove viene “l’antagonismo a prescindere” che caratterizza la nostra politica, alcuni show televisivi, molte relazioni sociali se non dalla necessità che ognuno ha di occupare spazio? Di chiederne di più perché il proprio ego narcisista soffoca, se non primeggia.  Il proteggersi l’uno con l’altro, mantenendo la “distanza di rispetto” è un valore che abbiamo in questi giorni scoperto e sperimentato. Manteniamolo, è un valore prezioso. Abbiamo visto la natura riprendersi degli spazi nei giorni del look down, che significa che liberando spazio lo abbiamo restituito a chi l’avevamo tolto. Siamo diventati ingombranti e avidi, dobbiamo rendercene conto e ritirarci, dobbiamo rendere la “rinuncia” il metro che misura la nuova vita. Tornare alla semplicità, lasciare spazio intorno a noi significa recuperare il respiro. Tornano le biciclette, le piste ciclabili, finalmente hanno la considerazione che meritano così come le isole pedonali che daranno nuovo spazio a quelli che da sempre le hanno osteggiate, torna la vita in strada. Piccole cose che indicano l’orientamento di una nuova dimensione di vita. Già lo sapevamo ma è stato necessario il dramma di questi mesi per renderle valore condiviso, necessario per disegnare un diverso utilizzo dell’enorme patrimonio che ogni giorno ci è consegnato dalla natura e dalla Storia.
Un grande ruolo in questo ha la Cultura nel suo compito di mediazione e di proposta. La rivoluzione, se rivoluzione ci deve essere, è culturale. È più che mai doveroso, tornare ad una prossimità mediata dallo stupore, dall’incantamento, ad una infantilità curiosa e desiderosa di apprendere, di condividere lo sguardo, la voce, la scrittura, l’agire creativo - alla pari - reciprocamente tra attori culturali e partecipi dell’atto, tutti insieme pubblico di una sperato ritorno alla vita. Per strada, nei giardini, nei cortili, nei teatri svuotati dalle sedute, uno a uno in relazioni piccole, dove ognuno avrà lo spazio per riflettere e considerare ciò che è capace di dare e di accogliere.

La Gazzetta del Mezzogiorno, lunedì 18 maggio 2020

domenica 10 maggio 2020

Il Virus e la Cultura



di Mauro Marino*

La Cultura è la materia che fa la vita: chi siamo, come ci vestiamo, ciò che scegliamo di guardare - in televisione, al cinema, nelle vetrine dei negozi - di ascoltare, leggere, mangiare; quello che ci attrae per strada, quello a cui aspiriamo, è frutto del modello culturale che, volenti o nolenti, ci forma individualmente e come comunità. Qualcuno ha scritto: “Il Virus è un ottimo maestro se lo si sa ascoltare”, anch’io lo credo. Ciò che ci è accaduto con la quarantena, ciò che ancora ci coinvolge, è una straordinaria occasione di cambiamento su cui bisogna riflettere e lavorare - alla pari - affinando la nostra capacità di ascolto nell’accogliere l’altro, le sue necessità e per dare contenuti ad una reciprocità da sperare fattiva e virtuosa per il domani. Questo è un momento storico fortemente “culturale” perché è proprio un modello culturale che è entrato in crisi, tentare di mutarlo è necessario, vitale. Non capitava da tempo, in maniera così epocale e radicale, nel chiedere agli uomini impegno e responsabilità; non capitava dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È stato quello un momento in cui l’umanità piegata - ferita dall’arroganza sanguinaria delle dittature, dalla scelleratezza della guerra, dall’oscenità dei campi di sterminio e della bomba atomica - è stata chiamata ad agire e a muovere ogni energia possibile per dare forma e concretezza alla rinascita. Certo, è durato poco, lo spirito di solidarietà e fratellanza non ha avuto il tempo di germinare e di radicare. Lo sappiamo, la Storia non è mai maestra e ciò che è venuto dopo non ha fatto altro che confermare che “fraternità” e “solidarietà” sono valori fragili di fronte ai privilegi del potere, della supremazia e dello sfruttamento. Una fragilità che a permesso alle élite di affinare strumenti di controllo, di orientamento delle persone e dell’opinione pubblica, nei consumi, nel pensiero e dunque nelle scelte culturali. Anche fatti gravi, terribili - come le guerre nei Balcani, quelle in Medio Oriente, le Torri Gemelle, il disastro africano - sono serviti a poco dal punto di vista della creazione di una coscienza e di un sentimento sinceramente comunitario dimostrandosi - con tutto il loro portato drammatico - solo utili a rinvigorire divari conflittuali e politiche securitarie, nutrendo nuovi fascismi e sovranismi.
Oggi, l’intero pianeta, è chiamato a confrontarsi con l’invisibilità di un virus e il Mondo della Cultura (lo scrivo maiuscolo per significarne la complessità) è chiamato a interrogarsi sui contenuti che vorrà condividere, nel presente e nel prossimo futuro, con le persone - non con il pubblico, con gli spettatori - queste sono categorie che appartengono al passato, ma con i compartecipi dell’atto culturale.
Dobbiamo dare prospettiva alle ragioni di una Cultura che deve avere la virtuosa pretesa di rifondare la convivenza umana, la relazione uomo natura, la responsabilità verso la “casa comune” che chiede di essere ascoltata, rispettata, curata.
Bisogna recuperare uno sguardo dolorante sulle cose, fare critica, essere crudeli anche, frontali, schietti, essere la voce di un immaginario capace di farsi carico delle ferite inferte alla terra in anni e anni di scellerato sfruttamento delle risorse naturali e degli uomini. La memoria potrà essere utile alleata nel delineare percorsi volti alla ricerca e all’approfondimento tematico, abbiamo esempi profetici - di intellettuali, di artisti, di poeti, di politici - di grande valenza teorica, poetica e operativa, dimenticati, esclusi, spesso denigrati dalle vulgate che si sono avvicendate nel dare linfa alle Mode, alle Tendenze, al Consumo.
Ma ciò che più d’ogni cosa il Virus può insegnarci è il ritorno ai territori. La riflessione sulla e nella casa, il riprendere il filo di sé, nell’attesa del “liberi tutti”, ha certamente reso sensibili anche i più coriacei (speriamo). Compito allora degli Attori Culturali è quello oggi di farsi carico di quei valori, di quelle esperienze, di quelle vite che nella lateralità hanno costruito la qualità dei territori, la loro rilevanza poetica, la loro particolarità, per nutrire un sentimento di comunità capace di declinare un Noi, ampio, al servizio della Terra e di chi la abita. Così come si è messo ordine alle foto di famiglia, ai file persi nei PC, alle carte d’una vita così è bene operare per rendere leggibile il passato in virtù di una nuova narrazione culturale che ponga in primo piano i valori sconfitti, sia motivo di lotta, di proposta politica, di un agire culturale e sociale volto all’umano per promuovere nuova umanità. Se falliremo non ci sarà più futuro, se prevarranno le ragioni economiche, del rimborso, della paghetta, della quantificazione della perdita, non ci sarà più futuro. Lo Stato deve tornare a fare lo Stato, la cultura deve aiutare, deve produrre l’humus necessario, a sostenere con umiltà, rigore e speranza la crisi economica che si prospetta, non per alleviarne il graffio ma per renderlo rigenerante.

* La Gazzetta del Mezzogiono, 10 maggio 2020