mercoledì 22 aprile 2020

Lecce e le sue molte case della cultura


Mauro Marino*

La senatrice Adriana Poli Bortone ha accolto, con fastidio, l’annuncio dell’approvazione del protocollo firmato dall’Amministrazione Comunale di Lecce con la Regione Puglia per avviare, una riflessione e una agire comune, nella valorizzazione dei beni monumentali cittadini. Nell’accordo sono inscritte molte potenziali “case” culturali della nostra città: il Must per le parti espositive; una quota parte del Castello Carlo V, il Teatro Apollo; il Teatro Paisiello; Palazzo Turrisi; le parti destinata alla pubblica fruizione dei Teatini e del Conservatorio Sant’Anna, l’Ex Convento degli Agostiniani per la parte destinata all’Archivio Storico; il Museo Ferroviario della Puglia (di concerto con la Onlus che lo gestisce).
La senatrice si appella al mancato coinvolgimento del Consiglio Comunale e si oppone all’accordo - evocando anche i favori del Covid 19 nella cospirazione - con il piglio del “particolarismo” locale, il sovranismo del sovranismo: “La cultura a Lecce non era mai scesa così in basso – scrive – rappresentava un’eccellenza in campo culturale e non solo a Lecce”. Certo, è ancora così! Ma c’è da considerare che se lo è stata e lo è ancora non è per merito di certa politica ma sicuro per la capacità di resilienza dimostrata dagli autori, dagli artisti, dai creativi che la rappresentano e l’hanno rappresentata.
Ora, concertare una politica trans-cittadina capace di rafforzare il portato finanziario e ideativo nell’immaginare politiche di valorizzazione dei beni monumentali a disposizione della città non è certo un suicidio identitario. Lecce è in Puglia e la Puglia mostra di avere in questi, ormai lunghi anni di governo del Centro Sinistra, fortemente puntato alla piena visibilità della sua vocazione culturale finalizzando anche la filiera turistica a questo scopo. C’è un buon turismo se c’è una buona cultura, una buona tradizione di pratiche e una contemporaneità capace di accoglierla e di mutuarla al presente.
L’istituzione del Polo Biblio Museale, quale articolazione territoriale del Dipartimento Turismo, Economia della cultura e Valorizzazione del territorio della Regione Puglia, rafforza l’idea di una visione territoriale aperta all’incontro, allo scambio esperienziale, alla contaminazione, alla piena apertura di luoghi che sì, in passato, sono stati meritoriamente recuperati ma che sono stati poi “abbandonati” o usati come uffici. Luoghi che spesso, già in partenza, si sono dimostrati limitati nella possibilità d’uso per il mancato adeguamento degli stessi – in fase di recupero - alle più elementari norme di accessibilità nella pubblica fruizione con enormi colpevoli “distrazioni” del committente al momento della consegna del bene restaurato, tantissimi gli esempi di mal funzionamento che evito qui di elencare.
Il problema è ora rendere virtuoso questo accordo - tutto politico e strategico - nella sua fattibilità. L’Amministrazione Comunale e il Polo Biblio Museale apriranno una fase di approfondimento sulle diverse vocazioni e particolarità dei luoghi? L’annunciata istituzionalizzazione delle Consulte (tra cui quella dedicata alla Cultura) sarà motivo di un confronto aperto e corale sulle modalità di gestione? Il mondo degli operatori culturali in che modo sarà chiamato a partecipare alla novità?
Tre domande che spero si siano posti i firmatari del Protocollo nel dar seguito all’accordo sancito.
Dovremmo averlo imparato, un luogo vive se è animato, se è attraversato da un pubblico pienamente partecipe del bene condiviso, se è condotto da persone capaci di dare destino alla propria passione culturale nell’incontro con l’altro. Non ci si può limitare alla buona volontà di uscieri più o meno capaci, alla provvisorietà di programmi gestiti nel giorno per giorno dall’eroica dedizione degli uffici. Bisogna pensare che il cambiamento va servito con il cambiamento e la nostra città ha bisogno, soprattutto oggi, di dare compiutezza alla “rivoluzione” avviata lo scorso 26 maggio.

La Gazzetta del Mezzogiorno, mercoledì 22 aprile 2020