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La locandina del film |
“In
grazia di dio”, il film di Edoardo Winspeare
Le
parole della radio raccontano lo sfondo, quello della Storia: l'incubo greco
non è lontano da Finibus Terrae; lo sciopero degli autotrasportatori ferma la
circolazione delle merci; la fabbrica, il laboratorio tessile costruito con le
povere rendite "della Svizzera", rimane senza commesse, il “padrone”
di Treviso ha scelto la Cina... Poi, lo strozzino della finanziaria e il
complice “zzenzale” che si prende
la casa e poi, ancora, il precipitare nella depressione che a tanti toglie il
desiderio della vita.
Questa
volta no! La crisi è la cornice ma il reagire è diverso, tutto tenuto nel viso
tragico e nell'inconsolabile incazzatura di Adele, la protagonista di “In
grazia di Dio” nuovo film di Edoardo Winspeare presentato nei giorni scorsi - senza
il consueto "spolvero" delle prime - a Lecce, nella sala del DB
d'Essai, dov’è in questi giorni in programmazione.
Una
storia qualunque, quella di chissà quanti, ma questa volta c'è la
determinazione a non cedere, a non lasciarsi travolgere dalla paura.
Una
lunga sequenza, lenta, segna l’entrata nel "tempo nuovo", attraversa
la campagna, non c’è suono… è tutta da costruire la scommessa per il futuro,
indeterminata, solo legata al pensiero e alla certezza del dover faticare, di
nuovo faticare, per rimettersi in piedi...
E,
il futuro, è nel passato, ben custodito dalla fierezza della madre, nell'amore
che può venire ritrovando insime "…l'odore della merda", della
sudore, della campagna. Manca il letame per rendere fertile ciò che il Tempo ha
dimenticato. Già manca… andiamolo a cercare!
Un
film nervoso, teso, detto in un dialetto puntuto, mai pacificato, traversato e
travagliato dalle continue impennate dell'umore dei protagonisti... Non c'è il
Salento idilliaco, cornice, tante volte vista, nelle pellicole di questi anni,
a ben guardare, mai, nel cinema di Edoardo Winspeare, nella sua poetica, sempre
in bilico tra "urgenza" e "speranza", così è
stato nelle sue fatiche precedenti, così è in quest'ultima opera scritta con
Alessandro Valenti.
Quello
che Winspeare ci mostra, è un Salento emblematico, metafisico, dechirichiano in
alcune inquadrature: il monumento, lo sfondo della chiesa, la fuga prospettica
in paesi vuoti di vita, in contrasto, con la densità del paesaggio: aspro e
bellissimo quando la mira è alla natura, al suo continuo mutare. Regale, nella
sua umiltà, quando il lavoro porta dedizione e chiede, alla terra, di far
colori, di far frutti, per lo "scambio". Un baratto nuovo, virtuoso,
vitale - quello raccontato - riscattato dalla soggezione della colonìa, scelto
orgogliosamente da Adele, in autonomia, strumento per la speranza. "In
grazia di Dio” si può scegliere di sottrarsi, allora, di re-inventare la vita.
Il
piccolo appezzamento di terra nella culla della cava, è la metafora visiva più
completa dell’ideologia di questo film intensamente politico. La terra da
custodire, da proteggere.
Il
“no”, il non cedere, ci fa comprendere come la risposta alla crisi sia nella
lenta riappropriazione e conquista del Tempo, una costruzione bisognosa di re-interpretare
lo spazio vitale, di difenderlo, di proteggerlo donandolo alla sua più intima
vocazione, quella rurale, l’unica capace di rendergli grazia!
Quanto
è a rischio, quanto è fragile questo nostro Salento… Frana, adesso, sull’orlo delle
coste e c’è chi, per correre ai ripari, ancora di più vuole esporlo all’usura,
alla “consumazione”, come quella della gioventù ritratta nel film, nata
sconfitta e senza desiderio se non quello animale di una sessualità vissuta solo
per “svuotarsi”... che, se poi trova il pieno d'una nascita, guai alle
puttana...
Il
coro delle donne pare essere l’unico esito possibile. Delle donne e di quegli
uomini capaci di trovare in se stessi, sempre vivo, il dono della tenerezza. In
quella pietas cova la speranza!