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Una scena da Il matrimonio |
Al
debutto per “Il teatro dei luoghi”, martedì 22 luglio
“Il matrimonio” da Nikolaj
Vasil'evič Gogol
per la regia di Salvatore Tramacere.
Erano
le cose della realtà ad ispirare l’opera di Nikolaj Vasil'evič Gogol; sulle
vicende del quotidiano - pubblico e privato - lo scrittore e drammaturgo russo
(era nato in un villaggio della provincia ucraina nel 1809) inanellava
paradossi, iperboli capaci di esaltarle, di renderle grottesche, ilari… Un
approccio necessario ancora oggi, quello gogoliano, immersi come siamo in una
realtà mutata, dalle consuetudini televisive, in reality.
Se
è vero com’è vero che lo show “non è musica ma la traduzione in musica di
un’indole” capiamo come esso muova le nostre giornate sul bilico tra realtà e
fiction. La “finzione”, nella contingenza di una società dello spettacolo
giunta al top del suo potere pervasivo, è la norma: il topos a cui anelare.
Al
teatro il compito di decantarla, la realtà, di raffreddarla nelle sue fregole
spettacolari, con un’overdose di ironia, di sana leggerezza agendo un punto di
vista capace di spegnere il “rumore dei soldi”, sollecitando il “coraggio di
tuffarsi”, di andare frontalmente all’incontro con il pubblico auspicando
d’esser gatti - e non cani che quelli son sempre bisognosi d’un padrone -
regali nell’autonomia, nella capacità di star soli, lontani dal chiasso e dai
rumors della cronachetta.
Se
viene il silenzio, ti chiedi del tempo. T’accorgi di com’è la giornata: a volte
viene il sereno, altre volte piove… Guardi insomma, ci sei, sei al mondo e non
nella scatola che ti fa bisognoso, succube. Rapito…
Il
teatro è racconto, piacere del racconto, piacere di fare storie, di farle
incontrando storie, frammenti, piccole tracce. Cucire le parole con la musica,
con le canzoni (e qui, nella maniera korejana, di canzoni ce n’è tante dentro
sospensioni che traslano dal digitale alla voce vera…), tingere con le luci le
dinamiche, con i fermo immagine ispirare riflessioni, il tempo di un battito e
via, di corsa, a fare il processo all’oscenita dell’oggi...
Nel
1842, a trentatre anni, Gogol' scrisse “Il matrimonio”, una satira incentrata
su una giovane donna che viene corteggiata da quattro scapoli, ognuno con le
sue eccentricità. Una storia – questa Uomini e donne di metà Ottocento -
considerata minore nel vasto repertorio dello “svegliatevi anime” gogoliano.
Salvatore Tramacere la ripropone con una compagine di straordinati attori,
versatili e capaci che confermano lo Stabile salentino (se mai ce ne fosse
bisogno) come vivaio e palestra di talenti attoriali. In scena: Francesco
Cortese, Giovanni De Monte, Carlo Durante, Erika Grillo, Anna Chiara Ingrosso,
Emanuela Pisicchio, Fabio Zullino.
E’
il bianco che viene agli occhi nell’allestimento pensato e illuminato da Lucio Diana.
Due
tondi, uno bianco al pavimento, un altro sospeso sul fondo. Un divano,
poltroncine, una specchiera anche questa tonda al lato, sul davanti una
postazione microfonata e fornita di telecamerafa il verso ad un più noto
“confessionale”. Al lato opposto un pianoforte, sarà per tutta la durata luogo
abitato da un pianista vestito da cuoco, Ivan Banderblog, un autentico russo,
un virtuoso funanbolo dello strumento che fa da contrappunto allo spettacolo.
Una
foto di gruppo apre l’atto. L’aria è elegante… uno viene avanti, ha un libretto
in mano legge, anzi balbetta: “Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si
fa gentil ciò ch’ ella mira; ov’ ella passa, ogni uom vêr lei si gira, e cui
saluta fa tremar lo core…”. Poi una donna prende a confabulare, a far promesse,
lei combina “amori”… e via, poi il fatidico stacchetto e signori e signorine si
trovan presi “a star dentro” nella commedia ma... non solo in quella.