giovedì 19 gennaio 2012

"Mi scriva, mi scriva sempre"

Il 20 gennaio del 1811 (duecento e uno anni fa) nasceva Sigismondo Castromediano
da Gigi Montonato, "Breviario dal carcere" per i tipi di Congedo editore


Fu la scrittura a tenere "vivo" Sigismondo Castromediano nella sua lunga prigionia. " Anni di sofferenza fisica e morale, nel corso dei quali, il duca di Cavallino conservò intatta la sua straordinaria compostezza interiore, degna di un'antico filosofo stoico..."
Quando ero ragazzo, il Museo Sigismondo Castromediano "abitava" due stanzette a Palazzo dei Celestini. Entravi dal grande portone di fonte alla Villa Garibaldi e appena varcato, nel portico le trovavi a destra. Piccole ma "incantevoli" per ciò che mostravano. Ricordo delle teche, in una, una giubba rossa, da carcerato, se non ricordo male e poi, dei ferri ed insieme delle decorazioni.
Erano cose appartenute a lui, a Sigismondo, il duca bianco di Cavallino.
Un uomo di grande tempra e valore. Ultimamente lo abbiamo incontrato in quel capolavoro che è "Noi credevamo" film tratto da un altra grande opera l'omonimo romanzo di Anna Banti.
Nella descrizione del libro leggiamo: "È il 1883. Chiuso nella sua casa torinese, l'ormai settantenne don Domenico Lopresti, gentiluomo calabrese di incrollabile credo repubblicano, inizia a scrivere le proprie memorie, ripercorrendo l'attività politica clandestina, i dodici anni trascorsi nelle carceri borboniche, l'impresa dei Mille vissuta a fianco di Garibaldi, infine l'impiego presso le dogane del Regno unitario. Scrive con rabbia, di nascosto, quasi se ne vergognasse, spinto dalla necessità di frugare nel proprio passato per "rovesciarsi come un guanto": ne trae amarezza e disillusione. Antimonarchico, assiste al crollo dei suoi ideali risorgimentali e si abbandona ai ricordi di una vita raminga fitta di amicizie, tradimenti, speranze e delusioni: una vicissitudine umana di grande fascino che si fonde con le vicende di tutta una nazione dall'inizio dell'Ottocento ai primi anni del governo unitario, dando vita a un grandioso affresco tratteggiato con prosa compatta dalla leggera mimesi ottocentesca".
È lo "schivo" Lopresti a fornire la chiave della conoscenza di Castromediano a Martone, offrendo la statura ideale e lo stile morale di un uomo che forse il Salento non onora come dovrebbe.
Certo, Cavallino, la sua patria, lo "coccola", ne ha celebrato l'anno scorso la ricorrenza della nascita. Lui il duchino, venne al mondo il 20 gennaio del 1811 (duecento e uno anni fa) e molto diede, traversando il dolore della coerenza (condannato a 30 anni di carcere, ne sconta dieci due mesi e quindici giorni) e i travagli della ricerca. Quella politica e quella delle passioni che lo fanno artefice di stimoli ancora inesausti nell'immaginare il Salento.
L'archeologia (il museo che porta il suo nome fu inaugurato nel 1868, il primo di Puglia) fu da lui avviata in un consesso di sodali tutti votati al bene comune e al riparo da egoismi e protagonismi. Non ce n'era bisogno, ai tempi dei patrioti che, nello Stato italiano e nella sua "bellezza" - quella antica e quella di un presente tutto da ri-costruire - trovavano alimento anche quando delusi...
A "Sigismondo Castromediano e i patrioti salentini del '48" è dedicato un "Breviario dal carcere" che Gigi Montonato licenzia per i tipi di Congedo. Un libretto che in copertina effigia il Nostro canuto eroe nella sua "regale" austerità e ce lo fa conoscere "pensante" e mai piegato nonostante il ferri che lo costringono.
Ecco, tratti dal liberetto, alcuni passi della corrispondenza che mantenne "con l'amico e dal 1854 suo curatore patrimoniale don Pasquale De Matteis e per suo tramite con altri parenti e amici"... "A chi manca il coraggio il mondo è tomba, e sentirsi scorrere il sangue nelle vene, il seno ansante per aria respirata, e stare in una tomba è martirio che supera ogni martirio, è morte peggiore della morte" così scriveva dalla prigione politica, nel Bagno di Procida, il 7 novembre del 1851. E ancora leggiamo: "Confesso che la inquietudine non mi abbandona, perchè i tempi sono così avversi ad ogni virtù; che talune cose non susciterebbero, se la corruzione non vincesse ed i malvezzi non avessero ghirlande" è l'8 marzo del 1856 il Duca è carcerato a Montesarchi. E, sentite ancora, il 21 marzo del 1857 di cosa scrive: "Sapevo della ferrovia da Napoli a Brindisi; ma non del braccio testè decretato sino a Lecce. I leccesi sono stati savi in ciò, che se avessero fatto altrimenti la loro città sarebbe rimasta fuori ogni attività e commercio, e quindi col tempoperita. Però ad essere più efficace la bella intenzione, sembrami che questo braccio dovesse raggiungere Gallipoli" e il 18 aprile dello stesso anno: "Qui forse è più facile toccare il cielo col dito che poter scrivere e quando si deve e quando si vuole. Bisognerebbe essere qui (che non auguro nemmeno ai miei nemici) per comprendere in tutta la sua estensione quel che dico; quindi ti prego a non lasciarmi privo di tuoi scritti almeno una fiata al mese, ed avrai sempre argomenti a trattare quando vorrai parlarmi dei nostri...".
Un uomo eroico e attento, presente alla sua Terra, che certo ci manca...
"Che bella figura di vecchio: è una reliquia veneranda" disse di Lui Umberto I in visita a Lecce, Castromediano morì, nella sua casa di Cavallino, il 26 agosto del 1895.

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