venerdì 13 marzo 2020

La città nella “fortuna” della pausa



di Mauro Marino

Pare nuova la città, altra, inedita, così come tutti i luoghi che hanno scelto la “fortuna” della quarantena, dell’#iorestoacasa. Fortuna sì, perché ben venga la pausa, questo fermarsi: sia grazia per il dopo, per ciò che verrà se quello che oggi viviamo sarà d’insegnamento per il futuro, di indirizzo sulle priorità dello stare a vivere, individuale e collettivo.
Poca gente in giro, a sera tutto deserto. Son tutti in casa! Un dono! La strada dove abito di solito è trafficata in arrivo da sud, ieri era silenziosa, naturale nel respiro della notte. Lecce non più meta serale di quanti la raggiugono per la sua movida, appare surreale e trasognata con il suo barocco. Le facciate delle chiese, le decorazioni dei balconi, tornano a esprimere il loro monito se guardi con attenzione, in questa possibile, ritrovata, capacità di soffermarsi sul senso, sul significato di quelle pietre così fittamente scritte: la fatica dell’uomo regge il mondo, questo racconta il barocco. La bellezza, l’abbondanza, la gloria vengono da quella fatica. L’abbiamo scordato, ognuno di noi l’ha dimenticato e questa sollecitazione alla responsabilità, nell’emergenza, ci riporta sorprendentemente in vita, alla concretezza, alla necessarietà.
Abbiamo miseramente dimenticato cos’è la vita, il suo trascorrere, presi dall’ubriacatura di un Tempo titolato all’egoismo, alla  consumazione delle cose, al profitto per il profitto, all’usura continua di tutto. Soffermarsi, stare nel letargo, pare esercizio complesso, difficile ritrovare il contatto con la semplicità della casa, con il governarla, pare noioso, insopportabile. No, deve essere un esercizio di virtù per noi inesplorate, un’avventura nuova. Ritroviamoci, ritroviamo il corpo in questo momento in cui siamo chiamati a difenderlo, a proteggerci. Reimpariamo l’attesa stando in fila, reimpariamo il rispetto nella distanza di un metro che ci separa dall’altro, c’è molto da apprendere nel fare ascolto della regola, c’è da ritrovare la completezza dell’umano, di una lingua capace di metabolizzare la rinuncia per farla nuovo sapere, nuova immaginazione, nuovo futuro. Un altro futuro, non quello a cui tristemente e in maniera suicida ci eravamo destinati.
Questo è un tempo per me di letture, i libri sono la compagnia che ho scelto, il silenzio del viaggiare tra le pagine. E cercando ho trovato: la nostra contemporaneità vive “il corpo come un accidente e non come un predicato incluso in noi” è il filosofo Miguel Benasayag a scriverlo in “Contro il niente – abc dell’impegno”. Ecco, ciò che dobbiamo, ritrovare in questa quarantena è la nostra propria individualità, la contingenza che ognuno di noi è chiamato a vivere, la particolarità che ci abita per ridonarla domani ad un noi più consapevole, più solidale, capace di capire ciò che è necessario, al riparo dalla violenza e dall’odio, nella speranza che questi giorni non siano stati vani.

La Gazzetta del Mezzogiorno, venerdì 13 marzo 2020


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