domenica 10 maggio 2020

Il Virus e la Cultura



di Mauro Marino*

La Cultura è la materia che fa la vita: chi siamo, come ci vestiamo, ciò che scegliamo di guardare - in televisione, al cinema, nelle vetrine dei negozi - di ascoltare, leggere, mangiare; quello che ci attrae per strada, quello a cui aspiriamo, è frutto del modello culturale che, volenti o nolenti, ci forma individualmente e come comunità. Qualcuno ha scritto: “Il Virus è un ottimo maestro se lo si sa ascoltare”, anch’io lo credo. Ciò che ci è accaduto con la quarantena, ciò che ancora ci coinvolge, è una straordinaria occasione di cambiamento su cui bisogna riflettere e lavorare - alla pari - affinando la nostra capacità di ascolto nell’accogliere l’altro, le sue necessità e per dare contenuti ad una reciprocità da sperare fattiva e virtuosa per il domani. Questo è un momento storico fortemente “culturale” perché è proprio un modello culturale che è entrato in crisi, tentare di mutarlo è necessario, vitale. Non capitava da tempo, in maniera così epocale e radicale, nel chiedere agli uomini impegno e responsabilità; non capitava dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È stato quello un momento in cui l’umanità piegata - ferita dall’arroganza sanguinaria delle dittature, dalla scelleratezza della guerra, dall’oscenità dei campi di sterminio e della bomba atomica - è stata chiamata ad agire e a muovere ogni energia possibile per dare forma e concretezza alla rinascita. Certo, è durato poco, lo spirito di solidarietà e fratellanza non ha avuto il tempo di germinare e di radicare. Lo sappiamo, la Storia non è mai maestra e ciò che è venuto dopo non ha fatto altro che confermare che “fraternità” e “solidarietà” sono valori fragili di fronte ai privilegi del potere, della supremazia e dello sfruttamento. Una fragilità che a permesso alle élite di affinare strumenti di controllo, di orientamento delle persone e dell’opinione pubblica, nei consumi, nel pensiero e dunque nelle scelte culturali. Anche fatti gravi, terribili - come le guerre nei Balcani, quelle in Medio Oriente, le Torri Gemelle, il disastro africano - sono serviti a poco dal punto di vista della creazione di una coscienza e di un sentimento sinceramente comunitario dimostrandosi - con tutto il loro portato drammatico - solo utili a rinvigorire divari conflittuali e politiche securitarie, nutrendo nuovi fascismi e sovranismi.
Oggi, l’intero pianeta, è chiamato a confrontarsi con l’invisibilità di un virus e il Mondo della Cultura (lo scrivo maiuscolo per significarne la complessità) è chiamato a interrogarsi sui contenuti che vorrà condividere, nel presente e nel prossimo futuro, con le persone - non con il pubblico, con gli spettatori - queste sono categorie che appartengono al passato, ma con i compartecipi dell’atto culturale.
Dobbiamo dare prospettiva alle ragioni di una Cultura che deve avere la virtuosa pretesa di rifondare la convivenza umana, la relazione uomo natura, la responsabilità verso la “casa comune” che chiede di essere ascoltata, rispettata, curata.
Bisogna recuperare uno sguardo dolorante sulle cose, fare critica, essere crudeli anche, frontali, schietti, essere la voce di un immaginario capace di farsi carico delle ferite inferte alla terra in anni e anni di scellerato sfruttamento delle risorse naturali e degli uomini. La memoria potrà essere utile alleata nel delineare percorsi volti alla ricerca e all’approfondimento tematico, abbiamo esempi profetici - di intellettuali, di artisti, di poeti, di politici - di grande valenza teorica, poetica e operativa, dimenticati, esclusi, spesso denigrati dalle vulgate che si sono avvicendate nel dare linfa alle Mode, alle Tendenze, al Consumo.
Ma ciò che più d’ogni cosa il Virus può insegnarci è il ritorno ai territori. La riflessione sulla e nella casa, il riprendere il filo di sé, nell’attesa del “liberi tutti”, ha certamente reso sensibili anche i più coriacei (speriamo). Compito allora degli Attori Culturali è quello oggi di farsi carico di quei valori, di quelle esperienze, di quelle vite che nella lateralità hanno costruito la qualità dei territori, la loro rilevanza poetica, la loro particolarità, per nutrire un sentimento di comunità capace di declinare un Noi, ampio, al servizio della Terra e di chi la abita. Così come si è messo ordine alle foto di famiglia, ai file persi nei PC, alle carte d’una vita così è bene operare per rendere leggibile il passato in virtù di una nuova narrazione culturale che ponga in primo piano i valori sconfitti, sia motivo di lotta, di proposta politica, di un agire culturale e sociale volto all’umano per promuovere nuova umanità. Se falliremo non ci sarà più futuro, se prevarranno le ragioni economiche, del rimborso, della paghetta, della quantificazione della perdita, non ci sarà più futuro. Lo Stato deve tornare a fare lo Stato, la cultura deve aiutare, deve produrre l’humus necessario, a sostenere con umiltà, rigore e speranza la crisi economica che si prospetta, non per alleviarne il graffio ma per renderlo rigenerante.

* La Gazzetta del Mezzogiono, 10 maggio 2020

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