È notizia diffusa e condivisa che, gli allevamenti intensivi di animali abbiano storicamente inciso sulla nascita dei Corona Virus, le ipotesi che il modo in cui è prodotta la carne abbia contribuito alla comparsa del Covid-19 sono molto solide. E, allora, per prevenire o quantomeno rallentare, la nascita di nuove malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, occorre regolamentare meglio le filiere di produzione e i mercati, ma è, soprattutto necessario, riflettere su come viene prodotto, a livello globale, il cibo che mangiamo. Il Covid 19 è “maestro”, con il suo drammatico avvento ci offre l’occasione di analizzare il nostro stile di vita e di pretendere politiche che impongano, al settore agroindustriale, standard di sostenibilità ecologica, sociale ed epidemiologica più efficienti, immaginando e promuovendo pratiche più virtuose di produzione zootecnica e agricola nell’utilizzo del suolo garantendo la sua tutela e conservazione.
Il tema è quello della distanza, dello spazio tra
gli animali quando vengono allevati, della cura nell’allevarli e nella garanzia
della tracciabilità che li porta poi ad essere consumati. Ma, il tema della
distanza, dello spazio, non riguarda solo loro, è materia che, a ben guardare –
ce ne siamo accorti in questo lungo
periodo di quarantena con il “distanziamento sociale” - riguarda le persone, le
cose, i luoghi che abitano. La città, l’intero Paese, il Mondo. Ci siamo resi
conto che l’ammasso non serve, non è stato utile e lo sarà men che meno nel
futuro. Dobbiamo, allora, complessivamente ripensarci. Non possiamo inseguire
il passato, ciò che era acquisito se vogliamo immaginare un possibile futuro.
Per come si è pensato (e si continua a pensare) la
città, il consumo, lo spettacolo anche noi siamo polli all’ammasso, tutto è
progettato per creare quantità. La logica dei grandi eventi è il fondamento
dell’ammasso della corsa ai grandi numeri, del guadagno a scapito della
vivibilità e del benessere.
Oggi tutto è evento, tutto è affollamento, peggio, tutto
è scontro - vetrina di vanità più o meno esplicitate - perché l’assenza di
spazio aumenta l’aggressività. Da dove viene “l’antagonismo a prescindere” che
caratterizza la nostra politica, alcuni show televisivi, molte relazioni
sociali se non dalla necessità che ognuno ha di occupare spazio? Di chiederne di
più perché il proprio ego narcisista soffoca, se non primeggia. Il proteggersi l’uno con l’altro, mantenendo
la “distanza di rispetto” è un valore che abbiamo in questi giorni scoperto e
sperimentato. Manteniamolo, è un valore prezioso. Abbiamo visto la natura
riprendersi degli spazi nei giorni del look down, che significa che liberando
spazio lo abbiamo restituito a chi l’avevamo tolto. Siamo diventati ingombranti
e avidi, dobbiamo rendercene conto e ritirarci, dobbiamo rendere la “rinuncia”
il metro che misura la nuova vita. Tornare alla semplicità, lasciare spazio
intorno a noi significa recuperare il respiro. Tornano le biciclette, le piste
ciclabili, finalmente hanno la considerazione che meritano così come le isole
pedonali che daranno nuovo spazio a quelli che da sempre le hanno osteggiate,
torna la vita in strada. Piccole cose che indicano l’orientamento di una nuova
dimensione di vita. Già lo sapevamo ma è stato necessario il dramma di questi
mesi per renderle valore condiviso, necessario per disegnare un diverso
utilizzo dell’enorme patrimonio che ogni giorno ci è consegnato dalla natura e
dalla Storia.
Un grande ruolo in questo ha la Cultura nel suo
compito di mediazione e di proposta. La rivoluzione, se rivoluzione ci deve
essere, è culturale. È più che mai doveroso, tornare ad una prossimità mediata
dallo stupore, dall’incantamento, ad una infantilità curiosa e desiderosa di
apprendere, di condividere lo sguardo, la voce, la scrittura, l’agire creativo
- alla pari - reciprocamente tra attori culturali e partecipi dell’atto, tutti
insieme pubblico di una sperato ritorno alla vita. Per strada, nei giardini,
nei cortili, nei teatri svuotati dalle sedute, uno a uno in relazioni piccole,
dove ognuno avrà lo spazio per riflettere e considerare ciò che è capace di
dare e di accogliere.
La Gazzetta del Mezzogiorno, lunedì 18 maggio 2020