Su tutto il paesaggio: ammutolisce, ferma i pensieri, pare cucito col filo della nostalgia. Un Salento incontaminato appare, altro da noi, crudo, selvaggio, remoto e concreto. Torrematta c’è, ma non cercatela è giusto custodirla. Poi loro, i protagonisti, con il loro crudele candore, l’ingenuità e gli incanti di una adolescenza declinata - come per i dialetti – nelle diverse personalità dei ragazzi, attori di una “Via Pal” meridiana. Ma la suggestione del romanzo di Molnar subito svanisce. “La Guerra dei Cafoni” il film di Davide Barletti e Lorenzo Conte ha una sua originalità, una forza, una sua propria necessità. È una favola - tratta dall’omonimo romanzo di Carlo D'Amicis pubblicato da Minimum Fax - un “affresco mitico”, fluido, sfuggete, pare impossibile intrappolarlo in categorie preconcette.
Uno spettacolo -
visto nel giorno di Venerdì Santo a Cesena - ritengo sia un riferimento più
concretamente vicino è il nuovo “Giuramenti” del Teatro della Valdoca. Anche lì
in scena una truppa di giovanissimi attori. Una banda da “rivolta” schierata a
dire “no” al Mondo, a quello che è stato e a quello che soprattutto è
diventato.
Il film di Barletti
e Conte, lo spettacolo di Ronconi e Gualtieri sollecitano un pensiero: l’inutilità
dell’essere giovani oggi, in un presente privo d’avventura. È necessario un
cambiamento e questo cambiamento di percezione di sé deve essere in primo luogo
agito e interpretato dai ragazzi e dai giovani.
Le due opere , a mio
avviso, proprio su questo insistono: tocca ai ragazzi, ai giovani spogliarsi
dell’immagine che il Tempo ha cucito loro addosso. Prima un uso snaturato
dell’essere adolescenti, poi eterni giovani: inconsapevoli, piegati dal
mercato, indifferenti, isolati nella propria inquietudine, non capaci di
comunicare se non nello stereotipo che la comunicazione chiede loro. Privi di
futuro, tutti nel dovere di rappresentarsi, pena, il soccombere piegati da un
disagio esistenziale che si declina nel bullismo, nell’anoressia, nella vasta
gamma di dipendenze offerte da un mercato sempre più vocato al cannibalismo.
L’andatura dei dialoghi
nel film è semplice, venata di ironia, di sarcasmo, di tenerezza, non mancano
le impennate “sentenziali” così, come accade nella favola, il “senso” si mostra
inatteso, si svela rubricandosi nel pensiero. Un pensiero politico? Certo sì!
“C’è poca favola
nella politica” dice Davide Barletti raccontando il suo lavoro. Poco “sogno” e
pochissima concretezza, semplicità e immediatezza o semplicemente buonsenso,
aggiungo io. Questo manca negli scenari sempre più preoccupanti della
“devastazione” contemporanea. Questi pochi, poveri, ingredienti.
Sta ai ragazzi, ai
giovani, adesso, oggi, subito, sottrarsi al “tradimento” perpetrato da ormai
troppo tempo dall’uomo verso l’uomo, dall’uomo verso la terra. Accade da sempre,
sembra dirci “La Guerra dei Cafoni”, ma qualcosa si può fare interrompendo il
conflitto e inventandosi nuovi, “insieme”, capaci.
La secolarizzazione
del concetto di “giovinezza” via via ha agito uno svuotamento. L’adolescenza
come “invenzione” della famiglia borghese, come nucleo di affetti; la
scolarizzazione di massa come supplenza all’assenza di lavoro e di opportunità;
il continuo livellamento del gusto, dello stile, delle mode, dei comportamenti
hanno reso il ragazzo e il giovane “impotente”.
Essere testimoni
adesso, oggi, subito della propria necessità di trovare ruolo, di tornare ad
avere mani, di poter assaporare il puro sentimento dell’avventura, del provarsi
è l’atto necessario per smontare l’edificio della “ragione”, di quella “ragione”
che da secoli riproduce sempre se stessa, uguale, senza far tesoro della
Storia, dei conflitti, della semplicità dello stare al mondo.
C’è un nemico da
sconfiggere, sì! È il chinarsi al consenso, all’ordine dato. All’apparenza,
alla misura della materia dominante. La Storia è matura abbastanza nel suo
perpetrare l’errore sta allora a chi è “immaturo” fondare un nuovo cercare, un
nuovo orizzonte, una possibile Pace, una nuova possibile vita.
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