Una copertina in blu e in nero mostra il
finire di un’onda, il suo spegnersi nel ritornare al mare; sul retro un viso tagliato a metà, come a
richiamare l’essenza del due, il suo completamento in ciò che non vediamo. Il
due è la cifra per comprendere la complessità proposta: melodie e suoni di
sintesi, il pianoforte più puro e i sincretismi dell’elettronica scrivono la
musica di Marco Rollo al debutto discografico da solista con “Fluid”, un lavoro
prodotto da Three Hands Records.
Niente è acerbo, la “fluidità” chiama le “essenze” a
mostrarsi nel pieno del loro vigore, frutto di una maestria coltivata in anni e
anni di pratica musicale e di militanza nella scena salentina, alla corte dei migliori interpreti delle
contaminazioni maturate in questo nostro felice
angolo di mondo dove la musica è regina.
Il movimento degli elementi nelle partiture di Marco
Rollo chiama alla presenza, solo se interi
possiamo essere parte attiva nell’ascolto; la discrezione sembra essere il mood delle sue narrazioni sonore.
Racconti di note muovono l’immaginario, accompagnano, dosano il carico emotivo:
Lav, Ocram, For Svensson, Hathor, Eyes, Vanilla, Scatola blu, Obsession, Africa
e a chiudere Prologo, i titoli della sequenza di brani. Ogni brano un capitolo,
ogni brano un segreto lasciato all’immaginario, suggestioni che si rinnovano di
ascolto in ascolto. Sospensioni, “Frasi di sincero affetto appena sussurate”
scrive Carlo Sorgia in una nota che racconta all’interno del booklet - con una
fotografia di Leonardo Losito - il “camminare” del musicista sul limine di una
spiaggia.
Saggezza del musicista, del suo versare e versificare
sensibilità, un’ecletticità compositiva che trova compimento, poetica e
originalità nel chiaro e nel buio delle composizioni. Nelle limpidezze e nella
rottura repentina delle note/verso, nell’incedere acido subito stemperato in
ariosi abbandoni.
Quale segreto abita in chi suona? Quale sospensione?
Quale abisso, quale vertigine?
È fisico il lavoro del pianista, del musicista. Il
corpo è lo strumento, le mani e il sentire più profondo organizzano lo stare,
l’esserci nell’esecuzione, tutto nel pieno donarsi perché solo nella generosità
può compiersi l’atto creativo, nel lasciare,
nel distillare l’energia creatrice.
Nella tracklist scelgo “Africa”, un suono largo, corde
battute, pizzicate, un incedere lento, il torrido del sole e l’eco infinito dei
passi nel deserto, la più terribile paura quando osa nel possibile la speranza,
il battito di un cuore plurale, quello dimenticato quando siamo al cospetto di
un monitor a guardare nel nostro comodo le immagini delle grandi migrazioni; accade
ogni giorno nelle nostre case… nella nostra ordinaria superficialità. Un suono
sincopato, smorzato, muove l’impianto del brano, poi l’affabulazione melodica
della tastiera trova spazio avanza viene porta chiarezza apre lo sguardo e il
senso facendoci testimoni di ciò che non vogliamo guardare con consapevolezza e
partecipazione.
MM
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