Verrebbe
di smettere di pensare, ma non è il caso. Avevamo sperato in una “gentilizzazione”
della politica invece il machismo più bieco è emerso e impera. Lo stile della
politica è quello “ultrà”, quello del tifo, squadra contro squadra: Italia vs
Europa, Italia vs Francia, Italia sola contro l’intero Sud del Mondo, Italia
contro tutti.
Il
capitano e anche il damerino a 5 stelle sono dalla parte del popolo, non
importa il colore del gilet, l’importante è sparare sui governanti, c’è sempre
un nemico da evocare ieri la Merkel, Juncker, Moscovici, Macron, anche Papa
Francesco è tra i nemici.
Il
turco Erdogan no, Orban no, Putin no… loro son giusti, non fa nulla se qualche
volta dimenticano d’essere democratici. Non serve, cos’è tutta ‘sta libertà, se
ne può perdere un po’ se poi c’è il reddito di cittadinanza, quota cento e i
porti chiusi. Evviva” i “poveri” che in cambio della paghetta son disposti a
tutto… Anche a guerreggiare se sarà il caso… Le consuetudini del quotidiano lo
raccontano e scopri quant’è radicata l’indifferenza e la cattiveria. Radici
profonde, di semi a lungo covati che oggi mostrano tutta la loro potenzialità
infestante.
Il
risentimento, questo il sentire più diffuso con tutto il contorno di sinonimi e
di coloriture possibili. Non si risparmia il rancore, l'animosità, l'astio; si
arriva all'acredine, al livore più bieco, poche volte si coltiva un sano e
costruttivo sdegno, quasi mai l'amarezza, troppo poetica e segno di fragilità,
preferendo l'acida acrimonia. Che fatica! Fa male al fegato viver così; si
diventa brutti lasciandosi pervadere dal ghigno dei duri, difficile coltivare
relazioni, far buoni incontri scordando la pace della convivialità, difficile far
politica, ancora più difficile far cultura. Non si cresce, s'arretra anzi, il
pensiero si fa piccolo nel chiuso del risentimento, quello proprio e quello
nazionale.
E
allora, pensare è necessario, tentare di uscire dai canoni del consueto, del
già detto.
Il
Tempo che viviamo è un tempo manifestamente regressivo, non crede più al
"progresso" o forse, l'idea di "progresso" che abbiamo sin
qui alimentato s'è ammalata, guasta sin dal suo principio nella pretesa
d'andare oltre l'uomo. Di non aver cura dell'umano, della necessità
d'alimentarlo in crescita. I modelli culturali promossi segnano un silente
fallimento, via via, minano il Tempo, la Vita, la Convivenza. Non siamo più
abituati all'idea d'essere Mondo, d'essere dentro una coralità e che la
coralità è necessaria per comprendere, ognuno di noi, la propria natura, la
propria unicità, la propria bellezza. “Singolarità” e “Coralità” parole poco
usate, sconfitte da “Individualità” e “Comunità” concetti usurati dalla
Politica che li ripete all'infinito senza sostanziarli culturalmente e
poeticamente. La Singolarità è la bellezza dell'uno che si accorda con l'altro
per declinarsi nella Coralità lo strumento attraverso cui le Voci si educano
allo stare insieme. Il Teatro ha per suo statuto l'idea che la qualità della
vita dipenda dalla responsabilità e dalla consapevolezza che ognuno matura di
se stesso.
Il
disagio esistenziale (condizione comune oggi a tutto l'Umano) deve divenire
leva di crescita attraverso un'azione che vede la Cultura muovere un energia
profondamente sovversiva nel “minare” lo statuto della Contemporaneità.
"La Bellezza non è tutto" se la Bellezza è solo vetrina, apparire,
superficialità patinata. C'è da dare sostanza al Tempo, all'Attesa; di fermare
lo sguardo, di sospendere il giudizio, di dare linfa nuova alla Vita. Una
lavoro di lunga durata che ha necessità, ora più che mai, di un inizio.
Tempo
fa, su Radio Tre, ho ascoltato una "lezione di musica" sul
compositore ungherese Béla Bartòk, uno dei più appassionati - fu senz'altro un
pioniere dell'etnomusicologia - nel declinare l'ascolto delle arie popolari
della dell'Europa Orientale e del Medio Oriente nella musica "colta".
Il conduttore del programma sottolineava come, in
ambito musicale (almeno in quell'epoca) fosse necessario, tra i grandi
compositori, prestare orecchio al fare dell'altro. La musica poteva avere evoluzione
solo se la ricerca personale poteva nutrirsi del lavoro degli altri. Uno
componeva e con la sua opera comunicava all'altro: “senti dove sono arrivato,
dove mi son spinto”, l'altro, confortato, nutriva la sua sensibilità, così si
procedeva nel progredire comune. In un'altra lezione di musica si è parlato
della "Sagra della Primavera" di Igor Stravinskij, il conduttore a
sostegno della tesi del “reciproco ascolto” ha osato mandando un brano
dell'opera di Stravinskij all'unisono con un altro di un compositore suo
contemporaneo: l'ascolto è risultato perfetto, integrato, meraviglioso. Non
poteva esserci risentimento in quel procedere creativo. Solo passione e
condivisione della ricerca. Reciprocità! Lo sappiamo, la musica è cosa
speciale, la coralità è insita nella disciplina, non potrebbe esserci musica
senza reciprocità, senza accordo, senza capacità di ascolto e di relazione, nel
rispetto dei tempi, nell'obbedienza allo spartito e alle indicazioni del
direttore. Così come nel cinema, nel teatro ognuno è chiamato al suo compito, a
far bene ciò che è chiamato a fare. Competenze in armonia, di questo avremo
bisogno, anche nella politica, reciproco ascolto, capacità di compensazione e
di composizione corale… Ma, lo so, è utopia!
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