Antonio Verri in un ritratto di Edoardo De Candia e la raccolta del Pensionante de' Saraceni al FV |
Mauro Marino*
Ancora ieri hanno
chiesto l’uso dello spazio: “Abbiamo bisogno di un luogo per provare. Siamo un
gruppo musicale acustico, non facciamo rumore. Ci basterebbero due, tre ore la
mattina”. È così al Fondo Verri. Ieri, e per tre giorni, le prove di un’attrice
che porta il suo lavoro in Svizzera, a sera la rassegna di cinema per
raccontare di alcuni autori salentini e poi… tanto, tanto altro. Non c’è giorno
che la richiesta non si rinnovi, per un incontro, per la presentazione di un
libro, per la messa in opera di una mostra, per girare nel nero della sala un
video o, vista la buona acustica, poter registrare il master per un nuovo cd. È
normale che accada in una città come la nostra, presa ormai da anni dalla
febbre creativa, dove molti s’inventano il mestiere e il desiderio espressivo
trova sponde nell’arte; una città che si candida a divenire Capitale Europea
della Cultura nel 2019, un processo si spera virtuoso, un’opportunità per
riconsiderare le politiche culturali e sociali sin’ora messe in atto e sul
passo nuovo da osare e imprimere loro se veramente si punta alla meta europea.
E’normale che ciò
accada, ma ciò che non è normale è che a rispondere alla domanda di agibilità
creativa sia uno spazio, che seppur attrezzato, misura pochi metri quadrati. Un
buco - un’isola - dove si pratica l’ascolto e l’ospitalità, dove molte sono
state le nascite, le “prime prove” di contatto con il pubblico, di artisti oggi
noti, testimoni della variegata identità culturale salentina. Non c’è bisogno
di fare elenchi, ne si vuole qui rivendicare alcunché, men che meno l’unicità
dell’esperienza. Ciò che preme è immaginare come uno spazio dedicato alla
ricerca e alle pratiche della Cultura debba oggi configurarsi alla luce del
cambio di passo gestionale annunciato con l’affidamento all’Axa di Giampiero
Corvaglia del Museo Catromediano, della Biblioteca Bernardini, dell’ex Convitto
Palmieri e di San Francesco della Scarpa e con le visioni seminate nei
laboratori del Sac Terre di Lupiae, dove la progettazione partecipata riflette
sulla valorizzazione e la gestione integrata di beni ambientali e culturali
esistenti e fruibili - aree protette, beni monumentali e archeologici, musei,
teatri storici e biblioteche; nell’area leccese, con il capoluogo, Castrì,
Cavallino, Lizzanello, Melendugno, Monteroni, Novoli, San Cesario, Squinzano, Vernole.
In tutto, in Puglia - è la Regione, l’ente che promuove l’iniziativa - sono 18 i
Sac, coinvolgono 187 comuni e più di 1000 partner. Si immagina che la cultura e
il paesaggio possano ritornare ad essere un fattore chiave delle politiche di
sviluppo territoriale. Anche noi lo auspichiamo, anche Lecce 2019 lo auspica
con il suo re-inventare eutopia che è un manifesto politico più che un
“cartellone di eventi culturali”. Una strategia per immaginare e soprattutto
praticare la “città ideale”, quella rinascimentale con al centro l’uomo, quella
oggi necessaria per ri-trovare il senso di essere città d’arte e di cultura. Città
responsabile, capace. Città di spazi dedicati alla creatività e al fare dove
poter crescere bellezza e coscienza civica.
Il Fondo Verri è in
via Santa Maria dal 1993. Prima un Laboratorio, poi con il Piano Urban a fine
anni Novanta, la dedica ad Antonio Verri per continuare la sua militanza di aggregatore
culturale. Un progetto riuscito che ha tenuto fede all’impegno preso con l’Europa
e con il suo ispiratore.
Lo ritengo un modello “esportabile”
quello praticato: il modello dell’ascolto, dell’accogliere, del tentare manovre
di valorizzazione. Un modello al riparo dalla necessità politica del dover fare
clientela (così è stato per molte delle strategie messe in atto dagli
Assessorati alla Cultura “padroni” dei luoghi e dei denari) e da quella
economica del dovere far “cassetta” subito. Ogni processo creativo ha i suoi
tempi ed uno spazio virtuoso dedicato alle pratiche di ricerca creativa deve
poter essere incubatore, recinto di svezzamento, luogo di studio, di
approfondimento, cantiere del primo confronto e poi trampolino, scena… Uno
spazio dove ad allenarsi è anche la funzione critica, col suo guardare, col suo
innestare esperienze, con lo scrivere, il documentare i processi che rendono il
pensiero e il fare aderenti ai bisogni della vita… I bisogni del creatore e
quelli della comunità in cui ha scelto di operare. L’esistenza di una cultura
dipende interamente da ciò che potremo chiamare l’incarnazione delle idee.
Ecco, uno spazio culturale è un luogo in cui il pensiero e il desiderio
creativo non vagano soli, abbandonati, il pensiero e il fare si “incarnano”, sono
accolti, accettati divenendo patrimonio comune – Cultura - segno condiviso dell’identità
di una città, della sua molteplicità e al tempo stesso della sua unicità.
*Fondo Verri - Forum
dei Sostenitori di Lecce 2019
Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno di mercoledì 27 agosto 2014
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