Da
quanto tempo inseguiamo una forma contemporanea della canzone
tradizionale salentina? Da tanto! In tutto questo tempo, Valerio Daniele è stato
(ed è) artefice che molto più di altri ha accudito e dato andature a questa corsa.
Ho
da giorni sul tavolo, presente all’ascolto, “Sine Corde – Ballate salentine
d’altri tempi”, cd prodotto da Anima Mundi Edizioni; la custodia cartonata ha
colori di terra e di cielo, illustrata da Egidio Marullo e composta da
Valentina Sansò. Nelle tracce le voci di Rachele Andrioli, Alessia Tondo, Enza
Pagliara, Assunta Surdo, Dario Muci, Rocco Gaetani, Ninfa Giannuzzi, Emanuele
Licci, i suoni di Giorgio Distante, Marco Stanislao Spina, Roberto Gagliardi e le
corde si Valerio Daniele.
Distillare
suoni è l’arte di Valerio Daniele intellettuale, fine chitarrista e fine
produttore di suono. Scrivo intellettuale perché tale lo considero, confermato
dalle sue tante prove, dalla sua sensibilità pensante che muta nel corpo
suonante, questo il suo approccio alle cose della musica - il suo suono e
quello degli altri da cui si fa abitare per meglio “tradurlo” nella scrittura
discografica. L’intellettuale contemporaneo non è quello della parola, della
scrittura, del monito e del dettato, ce ne sono pochi rimasti lucidi. L’intellettuale
contemporaneo si incarna nel fare dell’arte, mai come in questo momento l’unica
capace di muovere e rinnovare linguaggi e segni politici.
La
limpidezza caratterizza il lavoro di Valerio Daniele, un abbraccio chiaro alla materia–natura della musica. Nella
ricerca più radicale, messa in campo con l’esperienza di Desuonatori (straordinario
l’ultimo “Acqua minutilla e ientu forte” inciso da Daniele con Giorgio
Distante) e nel suo dedicarsi alla tradizione che trova nelle sue corde una
declinazione vivificante.
Significativo
è ciò che scrive Valerio nelle note che accompagnano “Sine corde”: “La
tradizione è un campo aperto, uno spazio ricco di vuoti. Vuoti che accolgono.
C’è sempre spazio per nuovi suonatori e nuove voci, per interventi appassionati.
Le lunghe nottate a suonare senza scopo, tra noi, in un tempo che ora sento
lontano, quasi mitico della mia vita, mi illuminarono sul fatto che quella
musica avesse il suo cuore non nelle pur straordinarie melodie di cui è ricca,
né nelle infinite possibilità armoniche che da quelle melodie potevano
scaturire. Il senso era altrove, in un luogo senza tempo fatto di storie
piccole, di lavoro, di dolore, di pensieri e slanci. In una dimensione umana
tanto quanto divina, proprio in virtù di quella perfezione della fatica, della
ruga, del decoro quotidiano. Ma il senso era anche nel vivere quei momenti
insieme, suonando in cerchio, dicendosi cose attraverso melodie e accordi che
altrimenti sarebbe stato impossibile dirsi. Il suono di questa musica è scarno,
è vuoto e viaggia nel pulviscolo. Ha le catene della carne e i guizzi della
disperazione. E deve restare così, libero, sciolto il più possibile da
strutture e ordini sequenziali. Ricco, ricchissimo ma del vuoto e
dell’accoglienza che per sua natura incarna”.
Ecco,
non vi pare un ragionare denso di pensiero e di storia? Ricco di suono e di
sensibilità. Una tessitura emozionale che sa volgere lo sguardo alle
contingenze, alla materia del suono e all’umano sempre protagonista del fare
musica.
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