Sulla copertina la
figura di una donna, le braccia distese lungo la larga gonna di un abito di
foggia antica, invece delle testa i petali di un papavero rosso. Un’immagina
enigmatica, ma forse, pensandoci bene, no, è tutto molto chiaro: la densità di
quel rosso custodisce la fragilità di un fiore che se reciso ha poca vita,
potente e fragile insieme, capace di resistere. Questa la chiave, il resistere,
la tenacia, il confermarsi in una militanza tutta dedicata alla vita.
Sì! Cristina Carlà è
un’affabulatrice, con tutto l’incanto di chi sa stare nella magia del narrare,
in equilibrio tra reale e surreale e fa vertigine con le parole.
Lei, le parole, le sa
mettere giuste giuste, una dopo l’altra e poi ti incanta mischiando l’italiano
con il dialetto in coloriture mai acide, densamente ironiche sì, anche quando
il dolore domina, dando tempo alle pause, all'esitare, al ripensamento,
all'osare.
Il teatro le è
prossimo e i suoni, il ritmo del dire concertano forma di favola, sviluppano intrecci e
azioni. Scene proprio, dove la vita te la vedi scorrere davanti, con le sue
consuetudini, con i cambiamenti, gli amori, i dolori e una femminilità che
impasta la vita e ne fa pane, racconto.
Questo trovi leggendo “Il colore
delle cose fragili”, “la parte migliore” di Cristina Carlà così si legge nella
nota che accompagna il libro, primo della collana “Taccuini e altre cose” di Collettiva edizioni indipendenti.
“Racconti, versi e
altre visioni cromatiche” recita il sottotitolo, il viola, il blu, il rosso, il
nero danno ordine ai racconti, rappresentando i colori di una fragilità esaltata come
valore, come leva da cui far nascere la consapevolezza del poter stare vivi
nella vita. Attenti nella tensione del “creativo” che ci abita e che fa seme
solo se si è capaci di abbandonasi oltre ogni giudizio al dovere di
esplicitarsi, di mostrarsi, di esser nella piena caratura della propria
espressività. Una
scrittura interamente calata nel quotidiano, agita con il corpo prima di essere
metabolizzata e scritta. Autentica, si può dire? Sì, autentica, come quando
senti che le parole dalla pagina vanno naturalmente alla voce per essere dette,
lette a voce alta, e lì la verità, è lì che l’autenticità si svela, in
movimento, andando, istante dopo istante, incontro al mondo, alla bellezza che
lo abita nella semplicità della “povera” vita che ci è dato di vivere.
Ah!, la
bellissima immagine di copertina è di Valeria Puzzovio.
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