Dispiace che il
sindaco Paolo Perrone si mostri contrario alla nascita di un nuovo luogo di
socializzazione culturale nell’ex asilo “Angeli di Beslan, nel quartiere
“Rudiae-Ferrovia” a Lecce. L’occupazione degli spazi non fa parte della
sua cultura politica ma sarebbe opportuno allargare la visione e considerare
quanto importante sia la possibilità, per le persone, di sentirsi insieme nella
gestione e nell’animazione di un luogo. Fa bene a loro e fa bene alla città, cresce
la consapevolezza dell’essere comunità, rompendo l’assedio della solitudine che
attanaglia molti e amplia la responsabilità dei cittadini nei riguardi del “bene
comune”.
In tanti anni di
attività sul fonte dell’operare culturale sono convinto che la creatività e la
conoscenza hanno bisogno di autonomia progettuale. Di desideri e di pratiche
capaci di valorizzare le spinte individuali per mutarle in opera, in relazioni.
Cose, che un’Amministrazione Comunale, con tutta la buona volontà possibile,
non può garantire; cose, che solo la pluralità dell’ascolto può rendere vive. Vasta
e sempre crescente è la domanda di iniziativa nell’ambito culturale e la nostra
città, pur godendo oggi di numerosi contenitori, non rende visibile questo “sotteso”.
Un asilo (o qualsiasi
altro luogo) abbandonato è un “bene comune”, crea disagio vederlo preda del
degrado e dell’incuria; è una ferita nella vita sociale di un quartiere; un
vuoto da colmare. E allora, se l’Amministrazione pubblica non è capace di porre
rimedio è un dono che l’autonoma iniziativa dei cittadini sia in grado di riportare
a valore ciò che pare “dimenticato”. Così hanno fatto le persone che in questi
giorni hanno ripulito e reso abitabile quello spazio della periferia, in via Franco Casavola,
all’inizio di via Monteroni, sull’angolo per viale Grassi.
Uno spazio
ritorna agibile con una gamma di proposte che danno lustro al progetto
complessivo della città. Non un ghetto
ideologizzato ma “un laboratorio collettivo di progettazione
territoriale e formazione” si propongono gli occupanti del “Terra Rossa”, questo
il desiderio: dare vita a una “Università Popolare”. Termini (“rossa” e
“popolare”) che evidentemente spaventano i nostri amministratori, nonostante
nel recente passato ci si sia confrontati con l’idea della Capitale Europea
della Cultura, con una proposta tutta incentrata sul valore sociale dell’agire
culturale.
Sarà una
deformazione professionale ma credo che il nodo educativo sia centrale. Utile è
farsi delle domande, ancora più utile trovare delle risposte.
“Cos’è un
operatore culturale?” “Un mediatore di desideri!” Questo è il lavoro per e
nella cultura: stare in ascolto, fare l’accoglimento, preparare il terreno,
mettere a dimora e aspettare la crescita.
E allora: “come facciamo a trasformare le istanze espressive in fatto culturale se non ci sono luoghi dove poter operare?” “Come riusciamo ad incanalare il vuoto valoriale, le crisi che la nostra contemporaneità induce, in fatti culturali positivi e propositivi?”
E allora: “come facciamo a trasformare le istanze espressive in fatto culturale se non ci sono luoghi dove poter operare?” “Come riusciamo ad incanalare il vuoto valoriale, le crisi che la nostra contemporaneità induce, in fatti culturali positivi e propositivi?”
È un lavoro
che non ha bisogno di luci e di lustrini. Che ce ne facciamo dei grandi eventi se
non riusciamo a definire quegli spazi utili ad incubare vocazioni e attitudini? E
poi, “il modello del “successo” e dello “show” è ancora un modello valido? E’
utile?” L’esperienza
nella scuola, in luoghi di cura e di aggregazione ci racconta che non sempre le
Istituzioni riescono ad intercettare questo bisogno di protagonismo, di
espressione, di linguaggio che viene dai bambini, dai ragazzi, dai giovani, dagli
adulti, dagli anziani, allora ben venga la “cittadinanza attiva”. Ben vengano
le proposte. Dovere degli Amministratori dovrebbe essere quello di garantire sempre
un alleanza con i cittadini, di mettersi al servizio, di rendere possibile ciò
che pare utopia. Di rendere la città patrimonio di tutti, terra di tutti.
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