Riccardo Lanzarone e Giorgio Distante in Codice Nero |
La scena è scura quando entriamo, una madonnina dipinta ci accoglie – solita abitante dei corridoi dei nostri ospedali - al centro del palcoscenico un freddo banco di metallo; dietro, la servitù per una flebo con su appeso un camice bianco. Un quadrato delimita uno spazio simile ad una medicheria, il luogo degli infermieri, qui, il luogo dei suoni.
Penso:
“Forse sarebbe utile tornare al sipario”, la scena scoperta nell’attesa che la
platea si riempia lo trovo uno spreco, mi viene in mente la necessità dell’aver
cura e questo sarebbe un buon modo di preservarla, la scena, recuperando la
sorpresa dello svelamento, c’è da riflettere…
La
sanità è il tema annunciato per “Codice nero” di e con Riccardo Lanzarone,
visto ai Cantieri Teatrali Koreja sabato 27 febbraio. Tra il pubblico riconosco
dei medici e di sanità sento parlare nella fila dietro me: di nomine, di
direttori sanitari, di direttori generali, di piano di riordino… di amministrazione
insomma, non della carne del malato, della sanità del “Io non vi posso amare”
che molto bene lo spettacolo racconterà.
Penso
ancora e mi chiedo: “Perché vado a teatro?”. “Per vedere gli attori”, mi
rispondo. Quello mi interessa, il fare degli attori, il loro agire, lo stare,
la voce, come muovono le mani, le gambe, come tengono il respiro. L’attore
atleta, corridore, generoso, quello amo. Penso ancora - l’attesa è lunga per
riempire la grande gradinata dei Cantieri - mi vengono in testa
parole-concetto: “L’attore, la ferita, il dono”; forse è utile accentare per
trovar il senso e il suono delle cose: l’attore è la ferita, l’attore è il
dono. Questo mi aspetto quando vado a teatro.
E così
è per Riccardo Lanzarone interprete e autore di “Codice nero”, un atto teatrale
rivelatosi di rara intensità. Il corpo (i corpi dai quali l’attore entra ed
esce sapientemente calibrando posture e voce), lo strumento, usato e osato per
raccontare la vicenda di Salvatore Geraci, di mestiere artificiere, costruttore
di fuochi d’artificio. Una vita interrotta la sua, la meraviglia degli occhi ha
fatto danno agli occhi. A quelli di un ragazzo che ha raccolto un petardo
inesploso, e ai suoi che, preso dal rimorso, ha smesso di “farcir cannoli” con
la polvere da sparo poi anche i suoi occhi si sono ammalati… un contrappasso da
scontare fino in fondo. Salvatore diventa un corpo in stand by, condannato all’attesa. “Tocca a me?”, “Tocca a me?”.la
domanda che attraversa per intero l’atto. Un viaggio romantico quello di
Riccardo, a ritroso nella sua storia personale, un viaggio - quello nel sistema
sanitario - simile a quello di tanti altri costretti dalla malattia.
Riflessione
a parte merita la medicheria… la musica e la sonorizzazione dello spettacolo, presente
in scena Giorgio Distante, trombettista e sound designer, tessitore delle
diverse ambientazioni con un ruolo drammaturgico nel servire l’attore nei cambi
che riguardano la narrazione: Salvatore con il “costume buono”, collana d’oro
al collo e scarpe a punta azzurre; Salvatore artificiere; Salvatore col padre (“affidato”
ad un paio di occhiali), Salvatore alla festa di Santa Rosalia, (scena straordinaria
recitata, gridata dall’attore perso tra la polvere); Salvatore malato;
Salvatore promesso sposo… C’è anche il medico “tenuto” sul tavolo come
marionetta sul proscenio della baracca.
Variazioni
sapienti di una teatralità che si muove di traverso ai generi del “solo” in
scena: narrazione, denuncia, civismo pedagogico sono cuciti da un filo sottile
che da specificità e unicità al lavoro di Riccardo Lanzarone, una ricerca
coltivata sin da ragazzo per scoprire cos’è la vita dopo aver sperimentato la
paura di perderla.
Degno di lode il “dopo spettacolo” nello straordinario scrigno-foyer dei Cantieri Teatrali Koreja allietato dai cannoli alla siciliana giunti freschi freschi da Palermo, città natale e della prima formazione di Lanzarone e interessato dall’incontro con l’attore-autore condotto da Antonio Audino, critico teatrale de Il Sole 24 ore e curatore degli spazi teatrali di Rai Radio Tre.
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